MASSIMA MOBILITAZIONE STUDENTESCA CONTRO LA RIFORMA VALDITARA

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Dopo il rifinanziamento per tutto il 2023 dell’invio di armi all’Ucraina e il decreto lavoro con il taglio del reddito di cittadinanza, la riforma della scuola proposta da Valditara completa il cerchio di un anno di governo Meloni all’insegna di misure antipopolari pesantissime. La riforma Valditara rappresenta l’attacco classista più duro alla scuola pubblica dai tempi della “Buona Scuola” di Renzi e del PD, che ha introdotto il sistema criminale e omicida dell’alternanza-scuola lavoro, portandone ad un livello più profondo e grave le linee guida.

La riforma promossa dal governo FdI-Lega-FI è divisa in due parti: la prima riguarda gli istituti tecnici-professionali, la seconda interviene sul voto di condotta. Il testo della riforma prevede l’avvio della sperimentazione su larga scala della scuola superiore in 4 anni a cui potranno aderire il 30% degli istituti tecnici e professionali. Inoltre, diventerà possibile e verrà incentivata la creazione di cosiddetti campus tra scuole-aziende, nell’ottica di “avvicinare il mondo dell’istruzione a quello del lavoro”, e nell’ambito di questi accordi sarà consentito introdurre ulteriori stage aggiuntivi oltre le 200 ore minime di PCTO. Per quanto riguarda la riforma del voto di condotta, si prevede di allargare consistentemente i motivi che possono giustificare l’assegnazione dell’insufficienza, e quindi la bocciatura. Chi avrà 6 in condotta dovrà sostenere un esame di recupero in educazione civica al mese di settembre, mentre lo studente che otterrà meno di 9 in pagella non potrà accedere alla fascia massima di crediti per l’Esame di Stato, abbassando il numero di punti raggiungibili alla maturità.

La nuova riforma rafforza l’alternanza scuola-lavoro con un minimo di 200 ore PCTO, ne anticipa l’attuazione dal secondo anno a studenti di 15 anni adeguando il nuovo modello al percorso scolastico in 4 anni e estende senza limiti la possibilità di avere accordi per ulteriori stage non retribuiti all’interno delle “filiere formative”. Si tratta di milioni di ore di lavoro gratuito per le aziende che verranno svolte negli stessi luoghi di lavoro in cui muoiono tre lavoratori al giorno in media. Non sono bastate le morti di Lorenzo, Giuliano e Giuseppe perché si smettesse di mandare gli studenti a lavorare gratis. Non bastano le notizie di studentesse minorenni costrette alla violenza sessuale del “praticare massaggi erotici” all’interno di centri estetici durante percorsi di alternanza. Il governo è pronto a sporcarsi di nuovo le mani di sangue, per difendere gli interessi di profitto della Confindustria. In nome dell’incremento dei ritmi produttivi e delle spartizioni di nuove fette di mercato, rafforza l’alternanza scuola-lavoro muovendosi apertamente contro le rivendicazioni di 200mila studenti scesi in piazza lo scorso anno.

La riforma della scuola del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara è pensata per garantire il profitto di pochi, e a dirlo è lo stesso ministro. Presentando la riforma infatti dichiara che essa serve a “garantire competitività al nostro sistema produttivo” e a “offrire competenze di qualità alle imprese”. Questa riforma non risponde in alcun modo alle esigenze educative degli studenti degli strati popolari e, anzi, è un duro attacco ai loro diritti che va ad innalzare ancora di più le barriere di classe nell’istruzione. Questa riforma è cucita addosso alle esigenze dei capitalisti e appiattisce ancora di più la scuola pubblica in questa direzione, nello stesso solco delle riforme che l’hanno preceduta. Le aziende potranno usare ancora di più le scuole come uno strumento per impartire la propria formazione aziendale, a spese pubbliche e quindi scaricandone i costi sulla fiscalità generale sostenuta dalle tasse dei lavoratori. Per affrontare la ristrutturazione capitalista, per sgomitare nella competizione imperialista, per sviluppare l’industria 4.0, ai padroni servono lavoratori specializzati in mansioni ultra-specifiche a bassissimo costo, precari e ricattabili anche per via di un’istruzione ricevuta che sarà sempre più orientata all’ottenimento di uno specifico posto di lavoro. Saranno le imprese a stabilire ancora di più cosa imparare, dove – a scuola o in fabbrica – e quando farlo. La riforma prevede infatti: percorsi scolastici pattuiti tra scuola e azienda con la voce in capitolo diretta dei capitalisti sul dettaglio dell’offerta formativa della singola scuola, lezioni in classe tenute da Confindustria e da “esperti” aziendali senza alcun prerequisito pedagogico, integrazione nel tessuto produttivo locale con stage di migliaia di ore di lavoro gratuito e un’ulteriore compressione dei tempi della scuola, ristrutturata su 4 anni per permettere l’ingresso nel mondo del lavoro il prima possibile. In pratica, si tratta di un’integrazione completa degli istituti scolastici con le aziende, l’ultimo tassello necessario per avere la scuola targata Coca-Cola o Fed.ex, portando su un nuovo piano il progetto che il PD ha iniziato nel 2015 con la “Buona Scuola” di Renzi. La stessa retorica di una scuola che doveva facilitare lo studente fornendogli le “skill” richieste dal mondo del lavoro, viene superata dall’incipit del primo articolo che parla apertamente del fine di rispondere “alle esigenze del settore produttivo nazionale secondo gli obiettivi del Piano nazionale «Industria 4.0»”.

La scuola che vuole il governo Meloni è sempre più classista: l’introduzione su larga scala della scuola in 4 anni per tecnici e professionali è un nuovo tassello della selezione di classe. Il ministro promuove l’idea che l’istruzione sia esclusivamente funzionale al mondo del lavoro e che debba rendere disponibili il prima possibile i giovani a farsi sfruttare nelle aziende. A pagarne il prezzo sono migliaia di studenti che vedranno la propria formazione estremamente compromessa, con un forte ridimensionamento dei percorsi educativi e delle proprie possibilità di intraprendere un percorso universitario. Quelli maggiormente colpiti saranno gli studenti più fragili nell’apprendimento e gli studenti degli strati popolari, spinti a intraprendere un percorso di soli 4 anni di scuola superiore con la prospettiva di guadagnare fin da subito e risparmiando alle famiglie un anno di contributi e spese scolastiche. Questa misura, già proposta dalla ministra Fedeli del PD, non fa altro che peggiorare la qualità dell’istruzione e scava ulteriormente il fossato tra licei e tecnici-professionali. Il peso sulla didattica degli accordi presi all’interno delle “filiere formative” a livello locale diversificherà in modo sostanziale l’offerta formativa da istituto ad istituto, tanto da rendere difficile poter parlare di programmi didattici comuni e universali a livello nazionale. L’integrazione degli ITS – Istituti Tecnici Superiori che offrono corsi professionalizzanti biennali in alternativa all’università – all’interno dei campus scuola-azienda sarà un ulteriore tassello di questo meccanismo, favorendo un percorso completamente diversificato che va a cancellare tutte le conquiste in termini di accessibilità dell’università pubblica raggiunte dalle mobilitazioni degli anni ‘60 e ‘70 e che riporta indietro di decenni il diritto allo studio in Italia.

La riforma del voto in condotta impone un modello di scuola punitivo, dove il rapporto docente-studente si basa sulla paura della sanzione e non sul rispetto. La riforma della condotta serve solo per punire e non ha nulla di educativo. Per voti inferiori al 9 saranno ridimensionati i crediti formativi e dunque il voto di maturità. Con il 6 si potrà essere rimandati, mentre verrà estesa la possibilità di dare il 5 non solo a chi compie gravi atti, anche perseguibili sul piano penale, ma banalmente a chi infrange il regolamento di istituto. Aumentando le sanzioni si educano gli studenti non al rispetto reciproco, al dialogo e alla comprensione critica dei ruoli, ma a temere le punizioni. Questa riforma non intacca i problemi alla radice: non aumenta di una sola unità il numero di professori e psicologi nelle scuole. Questo modello di scuola, fatto di punizioni e umiliazioni, ha come unico risultato quello di abituare gli studenti a una società competitiva basata sulla violenza gerarchica e la prevaricazione. Con la stessa logica fuori dalle scuole il governo Meloni propone il “carcere facile” per i minorenni attraverso il “decreto baby gang”.

Attraverso questi strumenti, la riforma della scuola punta ad inasprire la repressione contro la lotta degli studenti: sono anni che le scuole si servono in modo massiccio di sospensioni e denunce per reprimere e mettere a tacere gli studenti che alzano la voce. In una scuola in cui gli studenti passano la metà del loro tempo in azienda senza alcun diritto “sindacale” riconosciuto e ricevono per questo valutazioni e relazioni, chi stabilisce cosa è rivendicare i propri diritti e cosa cattiva condotta? Si tratta di un chiaro attacco alle proteste degli studenti e alla democrazia nelle scuole, completamente in linea con le ennesime cariche contro gli studenti messe in campo a Torino come risposta alle prime proteste studentesche contro la riforma.

L’esecutivo Meloni, in un anno di governo, non ha fatto altro che confermarsi come l’espressione diretta degli interessi della borghesia nazionale. In un periodo di grande ristrutturazione dell’economia capitalista, applica le peggiori politiche antipopolari su misura per i capitalisti italiani. Per riaffermare la competitività dei monopoli italiani ha sostenuto le politiche guerrafondaie della NATO, attaccato duramente le magre politiche di sussidio sociale, regalato soldi alle imprese e messo un ulteriore peso sulle spalle di migliaia di lavoratori che hanno visto crollare il potere d’acquisto dei propri stipendi sotto i colpi dell’inflazione. Dai lavoratori in sciopero, agli studenti che protestavano, ai migranti in mare, la repressione e la criminalizzazione sono state le uniche risposte fornite dal governo a chi alza la testa e prova a lottare. Nessuna di queste cose è però una novità: il governo Meloni si pone in diretta continuità con l’operato dei governi precedenti, di csx e cdx, e spinge sull’acceleratore del massacro sociale, già in corso da anni.

Non si può rimanere in silenzio mentre il governo mette ulteriormente in ginocchio la scuola pubblica, piegandola alla necessità di profitto dei pochi e non ascoltando i bisogni degli studenti. Lanciamo un appello al confronto e all’attivazione ai collettivi, a tutte le forze studentesche, alle realtà combattive, ai sindacati di classe e ai settori conflittuali. Dobbiamo costruire una grande mobilitazione nazionale per ottenere il ritiro immediato della riforma. Serve agire ora e con forza!