IL GOVERNO MELONI E IL RUOLO DEI COMUNISTI IN QUESTA FASE. [Risoluzione del Comitato Centrale del FGC]

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Parte I

SULLA NATURA DEL GOVERNO FDI-LEGA-FI

I. Il governo Meloni apre una nuova fase. Inaugura un “ritorno alla politica” nella gestione capitalistica in Italia chiudendo nel cassetto – almeno per ora – il periodo dell’unità nazionale, come invocato anche dalla condotta di M5S e Lega nei giorni della caduta del governo Draghi. Una situazione ancora instabile, ipotecata dalle contraddizioni interne alla coalizione di centro-destra e dalla possibilità concreta di un “piano B”, cioè della formazione, in caso di caduta del governo, di un nuovo governo di unità nazionale tra centro-sinistra, liberali e – eventualmente – settori del centro-destra disponibili a questa opzione. Al netto di questa possibilità potenziale, ciò che emerge oggi è il ritorno alla “normalità” capitalistica anche nella sfera politica e istituzionale, con il primo governo “politico” del periodo post-pandemico, dopo i governi di “larghe intese” di Giuseppe Conte e quello di “unità nazionale” guidato da Mario Draghi. I prossimi anni ci diranno quanto questo durerà.

II. Il processo elettorale ha fotografato non solo la vittoria della destra, ma lo spostamento a destra di tutto l’asse politico italiano. Si chiama centro-destra una coalizione che, pur attingendo da decenni allo stesso bacino elettorale, è ormai lontana dalla tradizione dei partiti liberal-popolari ed è piuttosto egemonizzata dalla destra nazionalista. Il centro-sinistra smette di essere socialdemocratico e diventa apertamente liberale, incalzato dalla ricomparsa dei liberali “dichiarati”. I tentativi di costruire sul terreno elettorale una sinistra “radicale” non vanno oltre la timida riproposizione di una più marcata funzione socialdemocratica, il cui spazio viene però oggi occupato dal Movimento Cinque Stelle che si reinventa su questo terreno. Questa involuzione reazionaria del sistema politico borghese in Italia viene certificata dalla presenza del governo più a destra della storia repubblicana, di natura apertamente nazionalista.

III. La cifra di questo governo, ciò nonostante, non è la rottura ma la continuità con l’agenda di governo di Mario Draghi e con i principali indirizzi strategici dei monopoli capitalistici italiani. Questa realtà viene mascherata con misure simboliche e ultra-identitarie, come quelle relative ai presidenti di Camera e Senato e ai nomi di alcuni Ministeri, che non cambiano la sostanza delle strategie portate avanti. Il governo Meloni ha fornito ai padroni ogni rassicurazione possibile sul proprio impegno nel portare avanti la ristrutturazione economica e produttiva con l’utilizzo dei fondi per le imprese del PNRR, sulla volontà di amministrare la crisi capitalistica scaricandone i costi sui lavoratori e sui settori popolari, sulla fedeltà dell’Italia all’alleanza euro-atlantica, ancor più importante nel contesto della guerra imperialista in Ucraina. Sull’onda di una
vittoria preannunciata, Giorgia Meloni si è spesa per accreditarsi agli occhi dei vertici di Confindustria e dei grandi monopoli come una degna sostituta dell’“uomo forte” Draghi. Ha investito sulla propria capacità di rappresentare a livello internazionale e in UE i loro interessi e le loro ambizioni, declinati come “interessi nazionali” e
patriottici, nella migliore tradizione nazionalista. Questo è in essenza il carattere di questo governo.

IV. La presenza di un governo dotato di una forte legittimazione politica ed elettorale rappresenta un’ulteriore garanzia degli interessi dei monopoli capitalistici dinanzi alla crisi economica e sociale. Proprio la valutazione sull’opportunità di far governare una stagione di crisi, inflazione e peggioramento delle condizioni di vita a un governo “politico” legittimato dal voto e non a un governo “tecnico” ha pesato nella scelta di andare ad elezioni anticipate dopo la caduta del governo di Mario Draghi. Il consenso politico costruito dalle forze di governo attorno alla retorica patriottica-nazionalista e ai richiami securitari costituisce oggi, per i settori capitalistici dominanti, una garanzia di stabilità maggiore dell’accordo tra diverse forze politiche nel sostegno a un governo tecnico.

V. Il governo Meloni svolge un’altra importante funzione: il riassorbimento istituzionale delle agitazioni della piccola borghesia. Negli scorsi anni, durante l’emergenza pandemica, i movimenti contro le chiusure dei locali e quelli contro le vaccinazioni hanno mostrato una grande dinamicità della piccola borghesia e, più in generale, la capacità di questi settori di porre le proprie rivendicazioni all’ordine del giorno del dibattito politico. La piccola borghesia è oggi la vera “cinghia di trasmissione” del consenso politico dei governi in Italia. Nel contesto di profonda arretratezza del movimento operaio, è capace di presentare i propri interessi come generici interessi “del popolo”, e di mobilitare dietro di sé anche settori di massa proletari. Da questo, e dalla particolare organizzazione produttiva del capitalismo italiano, deriva la costante contraddizione tra la tendenza generale della concorrenza capitalistica a schiacciare la piccola produzione, e la necessità dei governi borghesi in Italia di garantire la “pace sociale” con questo settore. È significativo, per questo, che tutte le misure che il governo Meloni annuncia in pompa magna, dall’attacco al reddito di cittadinanza alle modifiche della normativa sui pagamenti elettronici fino alla reintroduzione dei voucher, sono anche misure in favore della piccola borghesia. Persino sul tema dei vaccini, la scelta puramente simbolica di reintegrare poche decine di medici e infermieri novax, risponde a questa precisa logica politica.

VI. Il governo conferma e rafforzerà l’integrazione dell’Italia nei piani imperialisti della NATO e dell’Unione Europea. Si annuncia di voler raggiungere e superare la quota del 2% del Pil destinato alle spese militari, così come richiesto dalla NATO. Nuovi invii di armi in sostegno alla guerra imperialista in Ucraina sono già stati approvati sbrigativamente e programmati per tutto il 2023; prosegue la politica di sanzioni alla Russia, mentre i costi del conflitto vengono scaricati sulla pelle dei lavoratori. In questa direzione andrebbe anche l’estrapolazione delle spese militari dai vincoli di stabilità invocata dal ministro Crosetto, in perfetta aderenza con un’ipotesi già paventata dal commissario europeo Gentiloni. Anche l’accentuazione di una forma maggiormente conflittuale portata dal governo nel confronto interno all’UE è da leggere come volontà di accreditarsi come forza capace di strappare migliori posizioni per i capitalisti italiani nei tavoli negoziali, ma nell’assoluta riconferma dell’impegno italiano nella cornice comune europea.

VII. La fedeltà euro-atlantica garantita dal governo Meloni non cancella le contraddizioni esistenti nella borghesia italiana, che vedono ampi settori capitalistici proiettare i propri interessi economici in direzione di una maggiore cooperazione economica, commerciale ed energetica con la Russia, con la Cina, con l’Iran etc. Già a partire da febbraio 2022, il contesto della guerra in Ucraina ha visto questi settori ricompattarsi con il settore maggioritario e filo-atlantico della borghesia italiana, nel nome dell’unità nazionale e dei loro interessi comuni, attorno alla fedeltà alle alleanze tradizionali dell’Italia, accettando un compromesso temporaneo al costo di milioni di euro di perdite in termini di mancati profitti. Solo pochi anni fa, queste contraddizioni si esprimevano chiaramente, mentre l’Italia diventava nel 2019 l’unico paese del G7 a firmare un memorandum per la “nuova via della Seta” con il governo cinese. Non è un caso che il M5S di Giuseppe Conte, dopo aver votato tutti gli invii di armi in Ucraina, abbia tentato di giustificare la rottura con Draghi e la sua ricollocazione all’opposizione proprio in nome della messa in discussione delle modalità di compartecipazione dell’Italia alla guerra in Ucraina. Se è vero che il governo Meloni nasce all’insegna della fedeltà alla NATO e all’alleanza euro-atlantica ed è guidato dal partito italiano attualmente più legato agli USA, cioè Fratelli d’Italia, non sfugge che sia la Lega, sia Forza Italia – e in particolare Berlusconi – sono forze storicamente vicine alla Russia di Vladimir Putin. Questa contraddizione resta oggi latente, ma in futuro potrà rappresentare uno degli elementi di possibile spaccatura all’interno del governo.

VIII. Il nazionalismo del governo Meloni ha una doppia natura: è espressione delle ambizioni della borghesia italiana nella competizione internazionale ed è strumento di costruzione del consenso di massa. Il primo aspetto è evidente, ad esempio, negli scontri diplomatici tra i governi di Italia e Francia – che non sono una novità: nella guerra in Libia Italia e Francia arrivarono a sostenere due fazioni diverse! – e nella postura italiana nelle trattative UE come quella sul MES. Il secondo emerge invece nella costruzione del consenso elettorale sulla base di posizioni xenofobe e anti-immigrati, o con la retorica della difesa della “sovranità” dell’Italia e della “produzione nazionale” schiacciata dalla concorrenza internazionale. Questo non è ovviamente atipico. Sin dalla nascita degli Stati nazionali su impulso delle borghesie europee, il nazionalismo in tutte le sue diramazioni è da sempre funzionale al potere capitalistico. Nei contesti in cui si acuisce la competizione imperialista, cioè la competizione tra i monopoli finanziari e, parallelamente, lo scontro politico, economico e militare tra gli Stati capitalisti, sono le forme più spinte di nazionalismo a venire elevate a ideologia ufficiale degli Stati borghesi. Nei contesti di crisi e di forte conflitto sociale, il nazionalismo diventa per la borghesia la chiave di volta per un’uscita dalla crisi in direzione reazionaria. Ma al netto di tutto questo, non bisogna mai dimenticare che le premesse più basilari di questa ideologia, che stanno nella negazione dell’esistenza delle classi sociali
o della sua rilevanza, nella condanna della lotta di classe – solo quando esercitata dagli sfruttati, si intende – in favore dell’“unità di tutta la nazione”, non sono prerogativa del solo governo Meloni ma sono condivise oggi da tutto lo schieramento parlamentare in Italia, compresi centro-sinistra e Cinque Stelle. Gli appelli all’unità nazionale durante l’emergenza pandemica, così come il costante richiamo agli “interessi nazionali”, sono un esempio molto chiaro.

IX. Non bisogna sottovalutare né minimizzare le pulsioni reazionarie, securitarie e oscurantiste che con il governo Meloni troveranno spazio e campo libero. Il governo formato dai partiti di destra porta con sé tutto il portato reazionario della propria cultura politica, dall’adozione di nuovi provvedimenti repressivi e reazionari come il “decreto anti-rave” – che dietro la maschera moralista contiene utilizzabili contro i movimenti politici e sociali anche dopo le modifiche che sono state apportate – alla progressiva messa in discussione del diritto all’aborto col sostegno aperto alle organizzazioni “pro-vita” – che in Piemonte hanno recentemente ricevuto 460mila euro di fondi pubblici – e all’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici. L’indicazione dell’ultracattolico conservatore Lorenzo Fontana come presidente della Camera dei Deputati, così come i forti richiami ideologici alla forma della famiglia tradizionale e cristiana confermati dalla stessa scelta di introdurre il “ministero della Famiglia e della Natalità”, ci restituiscono un quadro eloquente. Su queste basi, le peggiori pulsioni oscurantiste e clericali, trovando terreno di libera espressione con il Governo Meloni, rischiano di mettere in discussione diritti atti a garantire il benessere collettivo, ma potrebbero sostanziarsi anche sul piano culturale in un attacco sistematico volto a sminuire il ruolo centrale delle donne nella
società, provocando un ulteriore arretramento. In termini generali, questi sviluppi non sono soltanto la conseguenza della presenza di queste forze al governo, ma esistono nella società italiana e sono il prodotto della crisi del movimento operaio, della fase di reflusso e arretramento iniziata negli anni ’80, della debolezza complessiva delle forze di classe. Non è un governo di destra che da sé produce questo arretramento, ma piuttosto il contrario: il governo Meloni esiste nella forma in cui esiste oggi proprio perché l’asse politico si è spostato a destra e l’arretramento nei rapporti di forza permette di mettere in discussione ciò che resta delle conquiste delle grandi stagioni di lotta del secolo scorso. Proprio per tutto questo, il governo sarà prontissimo a rispondere a qualsiasi sollecitazione approfondendo l’involuzione repressiva già in atto e già condotta anche da PD e M5S per esempio con i decreti Minniti e i decreti sicurezza.

X. Similmente, l’offensiva ideologica e culturale portata avanti da Fratelli d’Italia non può lasciarci indifferenti. Questo partito, erede della storia del post-fascismo e del MSI, non entra oggi al governo lasciando gli onori di casa a Forza Italia, come fecero a suo tempo Alleanza Nazionale e la Lega Nord grazie a Silvio Berlusconi. Oggi FdI entra dalla porta principale come vincitore delle elezioni e presenta ai propri militanti questa vittoria come il momento di “riscatto” tanto agognato da decenni: il diritto di chi “si sente fascista” di non vergognarsi né nascondersi, ma di presentarsi a testa alta. Personaggi che parlavano in conferenze apertamente neofasciste oggi ricoprono cariche di sottosegretari. Questa legittimazione istituzionale della tradizione politica post-fascista è accompagnata da un’offensiva ideologica di cui già si vedono i sintomi. La circolare anticomunista diffusa nelle scuole il 9 novembre è stata uno dei primi segnali, che si accompagna alle dichiarazioni di esponenti istituzionali contro il 25 aprile o al preannunciato delirio nazionalista e anticomunista che il governo organizzerà in occasione del 10 febbraio, che farà impallidire quello del 2019, quando Salvini era Ministro dell’Interno. Non si tratta tanto di gridare al pericolo fascista, come fanno alcuni, ma piuttosto di non sottovalutare il peso della legittimazione di concezioni reazionarie e anticomuniste nella coscienza collettiva.

Parte II

SULLA COSTRUZIONE DELL’OPPOSIZIONE POLITICA E DI CLASSE AL GOVERNO MELONI

XI. Il cuore dell’opposizione al Governo devono essere i lavoratori. Questa frase, che abbiamo spesso usato come slogan, contiene in sé la sostanza del problema che si pone oggi per noi comunisti e per tutte le avanguardie politiche del movimento operaio. In Italia la classe lavoratrice è del tutto assente dal discorso pubblico, proprio mentre viene portato avanti un attacco di classe dall’alto verso il basso che si abbatte in primo luogo proprio sui proletari, in termini di licenziamenti, caro-vita, inflazione, intensificarsi dello sfruttamento, aumento della precarietà. Nonostante ciò, nelle attuali condizioni di arretratezza, il dibattito politico divide la società italiana nelle categorie arbitrarie di “le imprese” e “le famiglie”, in un’operazione tutta ideologica che assegna un ruolo propulsivo al primo gruppo, cioè i capitalisti, mentre relega le masse a una condizione di passività e rassegnazione. È questo paradigma che bisogna ribaltare, facendo irrompere sul terreno della lotta politica contro il governo Meloni la forza della classe operaia organizzata. Non porsi seriamente questo problema significherebbe perdere tempo su binari morti e consegnare per l’ennesima volta il monopolio politico dell’opposizione ai partiti borghesi, creando ulteriore disorientamento, disaffezione e rassegnazione dinanzi all’esistente.

XII. La sfida che si pone oggi alla classe operaia è la capacità di porsi alla testa della mobilitazione popolare e imporre la propria agenda, non subire passivamente quella di altre forze sociali e politiche. Affermare la centralità della classe operaia non è in contraddizione con l’ambizione di parlare a tutto il popolo italiano. È anzi condizione necessaria per farlo davvero. Tutti gli sviluppi degli ultimi anni hanno mostrato che, nell’assenza di un polo di classe riconoscibile e di un forte movimento operaio organizzato, sono i movimenti egemonizzati dalla piccola borghesia e dalle sue pulsioni reazionarie e irrazionali a trascinare alla propria coda settori della classe operaia. Lo stesso scenario rischia oggi di riproporsi dinanzi ai nuovi sviluppi. Una nuova partita si giocherà sul terreno della mobilitazione popolare contro la crisi, la spirale inflazionistica, il caro-vita e i rincari delle bollette, contro la guerra e le nuove politiche anti- popolari. Per avanzare concretamente su questo terreno servono innanzitutto coscienza, preparazione politica, organizzazione.

XIII. L’escalation in Ucraina ha segnato un salto di qualità nella competizione imperialista, che impone lo stesso salto di qualità nella dimensione dello scontro di classe da organizzare. Non è una guerra regionale, ma la manifestazione nel cuore dell’Europa di uno scontro che ha una dimensione mondiale, che ha per oggetto la supremazia nel sistema capitalistico internazionale e la ridefinizione dei rapporti di forza al suo interno. La fase in cui viviamo è quella della guerra imperialista, caratterizzata dall’inasprirsi della competizione economica, politica e militare tra le principali potenze capitalistiche, tra tutti gli Stati borghesi e le loro alleanze, tra i grandi monopoli finanziari. La guerra imperialista non è un tema tra tanti, ma caratterizza la fase capitalistica in cui viviamo; è la cifra del mondo contemporaneo. Se in Ucraina e in Russia i popoli sono direttamente coinvolti nello scontro militare, in Italia e in tutta Europa la guerra entra nella vita delle persone in una misura che ha pochi precedenti dal secondo dopoguerra, con i governi che chiedono ai lavoratori di sopportare sacrifici in nome della compartecipazione al conflitto, della politica delle sanzioni, dell’invio di armi, della fedeltà alle alleanze. Nella coscienza popolare è percepito chiaramente il legame tra i rincari dei prezzi e la situazione internazionale. È necessario e urgente portare la lotta di classe sul terreno dell’opposizione alla guerra imperialista e, viceversa, non lasciare l’opposizione alla guerra alle forze politiche che cercano di utilizzare strumentalmente la parola d’ordine della pace per sostenere una delle fazioni capitalistiche coinvolte nel conflitto. Questo va fatto senza separare i due piani, ma al contrario facendo vivere in ogni contesto di lotta l’opposizione alla guerra, agli invii di armi, a ogni forma di compartecipazione dell’Italia al conflitto e ai piani imperialisti della NATO. È necessario far avanzare la consapevolezza che se la guerra è “la continuazione della politica con altri mezzi”, la guerra imperialista è la continuazione sul piano militare delle politiche capitalistiche e i suoi responsabili sono gli stessi che sfruttano i lavoratori di tutti i paesi, che sono sempre le prime vittime in ogni conflitto. Si tratta di difendere, sia nei contesti di mobilitazione sia nello scontro ideologico – compreso quello che avviene oggi in seno al Movimento Comunista Internazionale -, le radici internazionaliste del movimento operaio e comunista: pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori.

XIV. È necessario far avanzare un nuovo ciclo di mobilitazioni contro il Governo, contro la guerra imperialista, contro il caro-vita e le politiche antipopolari, sulla base di una piattaforma combattiva e anticapitalista e di una riconoscibilità politica da costruire attorno a queste lotte. È essenziale non lasciare al centro-sinistra l’opposizione al governo; non lasciare alle forze reazionarie e alla piccola borghesia la lotta al caro-vita e all’aumento dei prezzi; costruire un grande movimento popolare contro la guerra che unisca l’opposizione alla guerra in Ucraina e alla compartecipazione dell’Italia alla lotta contro le conseguenze economiche della guerra e l’addossamento dei costi del conflitto sui lavoratori; rispondere all’attacco di classe che il governo Meloni organizza contro le fasce più povere della popolazione, relazionandosi con le mobilitazioni spontanee che potrebbero sorgere contro l’abolizione del reddito di cittadinanza; ridare dignità allo sciopero generale come irrinunciabile strumento di lotta dei lavoratori. È necessario, inoltre, uno sforzo collettivo affinché tutto questo sia visibile, affinché la mobilitazione e gli sforzi messi in campo rompano il muro mediatico e siano capaci di parlare al Paese intero, imponendo di prendere atto dell’esistenza di un’opposizione di classe reale. Negli ultimi anni, in cui il FGC ha lavorato sulla base di questi indirizzi, sono stati fatti passi avanti importanti, ma solo parzialmente le mobilitazioni e i percorsi che le avevano promosse sono è riusciti a “uscire dall’angolo”, per limiti che sono anche soggettivi e non solo per le condizioni oggettive.

XV. In ogni contesto è necessario denunciare e contrastare politicamente il centro-sinistra, a partire dal Partito Democratico, nella sua volontà di presentarsi come l’unica opposizione possibile al governo e di egemonizzare i contesti di mobilitazione. Il PD basa oggi la sua strategia sulla chiamata unitaria a “tutta la sinistra” contro le destre. È una logica vecchia, che abbiamo visto in Italia per decenni in relazione al berlusconismo e che ha avuto la sua espressione in governi di centro-sinistra capaci di fare quelle riforme antioperaie e antipopolari che nemmeno Berlusconi aveva la forza o il coraggio di fare. In tutto l’ultimo decennio, il PD è stato il principale partito della stabilità e di riferimento dei capitalisti in Italia, il partito più presente nelle coalizioni di governo, il partito del Jobs Act e della Buona Scuola. È e resterà nemico dei lavoratori e degli sfruttati di tutta Italia. La sua natura di classe non cambia con il nome del suo segretario o con il restyling del nome. Non è un caso se oggi il PD cerca di circoscrivere l’opposizione al governo a un insieme di temi identitari, come i diritti civili o un generico “antifascismo” di facciata, cioè temi che non intaccano la sostanza delle strategie di governo dei grandi monopoli, sui quali invece tra centro-destra e centro-sinistra c’è in realtà accordo. Se in Italia oggi si misura la crisi del movimento operaio e comunista, è anche perché negli anni ‘2000 la logica dell’“unità della sinistra e del centro-sinistra contro le destre” ha portato alla compromissione dei comunisti con i governi borghesi, all’indistinguibilità dal centro sinistra e, alla fine, al disastro. Non si può più sbagliare. Ed è fondamentale per la gioventù comunista non trascurare queste lezioni e condurre costantamente una battaglia politica contro il PD, ponenedo attenzione e sforzi nel trasmettere questa consapevolezza ad una nuova generazione di proletari che non ha vissuto sulla propria pelle quelle stagioni.

XVI. Sbaglia chi, da sinistra, pensa che contro il governo Meloni si possa giocare la partita sul terreno dell’antifascismo. L’avanzata della destra nazionalista e la legittimazione in tutta la società italiana di concezioni reazionarie sono sviluppi seri, che richiedono una maturazione politica collettiva di chiunque voglia seriamente porsi sul terreno della costruzione di una possibile opposizione. Le parole sono importanti. Da comunisti pensiamo che il fascismo sia una cosa ben precisa, definita scientificamente in decenni di elaborazioni e analisi del movimento operaio italiano e internazionale. Le sue caratteristiche oggi non corrispondono né a quelle del governo Meloni, né tantomeno a quelle dei partiti che lo compongono. Utilizzare l’accusa di fascismo indiscriminatamente contro ogni partito di destra e nazionalista, per quanto reazionario, ha come unico effetto quello di inflazionare questa categoria e rendere – ancora di più – le masse indifferenti al suo utilizzo. Se tutto viene chiamato fascismo, è come dire che nulla è fascismo. Si finisce da un lato per portare acqua al centro-sinistra, che a quel punto avrebbe ragione ad affermare la propria diversità in base alla logica del “meno peggio” e del proprio ruolo di “argine”, dall’altro agli stessi partiti attualmente al Governo, in grado così di presentarsi all’opinione pubblica come forze che avendo fatto i conti con la propria storia politica sono pronte oggi a governare il paese. Bisogna necessariamente fare i conti con la realtà della legittimazione di queste forze nel sistema politico italiano. Contestare i partiti di governo e i loro esponenti, come il FGC ha fatto alla Sapienza di Roma, è giusto e necessario. Pensare di farlo dicendo che “non sono legittimati a parlare in quanto fascisti”, mentre vincono le elezioni con il 40%, è invece sintomo di dissociazione dalla realtà politica, sociale e culturale dell’Italia in cui viviamo. Su questo terreno si è già sconfitti. Questo ragionamento non significa in alcun modo dare una valutazione negativa dell’avversione verso il governo che si sviluppa a partire da uno spontaneo sentimento antifascista, che ha un valore particolare in un contesto in cui non si può più considerare maggioritaria la pregiudiziale antifascista. I comunisti devono sicuramente essere in grado di parlare a coloro che potrebbero scendere sul terreno della lotta a partire da questo sentimento, ma non possono fare l’errore di trasformarlo in una strategia che non sarebbe altro che codista, quanto piuttosto hanno il dovere di costruire coscienza di classe su questa base spontanea.

XVII. La riattivazione della CGIL come sponda all’opposizione parlamentare del centro-sinistra apre un terreno di intervento politico. Non nutriamo nessuna illusione sulla direzione della CGIL né sulla possibilità che essa possa cambiare significativamente natura. Non siamo però indifferenti al fatto che il più grande sindacato italiano passi da uno stato decennale di paralisi e immobilismo alla 16 situazione attuale che ha visto la convocazione di ben tre manifestazioni in due mesi durante l’autunno. La logica con cui questo avviene, che è appunto la volontà di fare da sponda all’opposizione parlamentare del PD come avveniva già negli anni di Berlusconi, è chiarissima. Pensiamo però che, fintantoché sotto le bandiere della CGIL si mobiliteranno settori di massa e un pezzo non irrilevante della classe operaia, i comunisti non possono e non debbano ignorare questa parte della classe, ma porsi piuttosto il problema di presentare anche in questo contesto la propria visione, chiamando i lavoratori alla lotta, agitando le parole d’ordine più avanzate e combattive e anche denunciando le responsabilità delle burocrazie sindacali. Per lo stesso motivo, rispetto all’ipotesi che la dirigenza della CGIL scelga in futuro di convocare una giornata di sciopero generale, riteniamo necessario e opportuno che i sindacati di base e combattivi abbiano la maturità di rilanciare la giornata di sciopero, organizzare la loro mobilitazione operaia, incalzare gli iscritti CGIL ponendo a diretto contatto con loro le avanguardie di classe e sindacali più combattive

XVIII. Più in generale, non bisogna liquidare semplicisticamente come funzionale al centro-sinistra ogni forma di mobilitazione e di opposizione spontanea al Governo Meloni e alle sue politiche più reazionarie. Che il centro-sinistra sarà presente in tutti i contesti di mobilitazione e tenterà di strumentalizzare ogni protesta in favore della propria strategia parlamentare, è ben noto ed evidente. Tuttavia, la manifestazione contro la guerra del 5 novembre a Roma, in cui lo stesso Enrico Letta veniva contestato da normali manifestanti, dimostra che non è automatico per queste forze riuscire a cavalcare il genuino sentimento di opposizione alla guerra e alla destra, ma che anzi esistono spazi per un intervento capace di intercettare gli elementi più avanzati e coscienti di quelle piazze.

XIX. La questione si pone oggi anche nel movimento studentesco, in cui le organizzazioni legate al centro-sinistra cercano di ripresentarsi come alleati contro il nemico comune, trovando sponda in alcune concezioni arretrate. Negli ultimi anni, il movimento studentesco ha conosciuto sviluppi politici molto diversi da quelli che avevano caratterizzato il movimento dell’Onda negli anni di Berlusconi, certo di tutt’altra proporzione. Anche grazie all’azione del FGC e di settori giovanili combattivi, si è spostato su un terreno di convergenza con il movimento di classe, compartecipando a date di mobilitazione operaia e adottando parole d’ordine avanzate contro la scuola di classe e i governi. Dopo le grandi proteste del febbraio 2022 in seguito alla morte di due studenti in alternanza scuola-lavoro, nate su iniziativa politica del FGC e in seguito esplose in un grande movimento spontaneo, persino i media nazionali sono stati costretti a riconoscere che la direzione politica di quei movimenti non era in mano alle strutture studentesche tradizionali del centro-sinistra. Oggi, la logica dell’unità a sinistra contro il governo di destra pone oggettivamente la possibilità di dover, nuovamente, contrastare il tentativo delle organizzazioni giovanili del centro-sinistra di riconquistare spazio nei contesti di mobilitazione. Non bisogna interpretare meccanicamente questo indirizzo come divisione a priori delle date di mobilitazione, che sarebbe anzi dannoso finendo per dividere il movimento studentesco e ridurne la portata di massa. È innanzitutto un compito politico, che deve essere tradotto nello sforzo per la denuncia politica del loro ruolo agli occhi della gioventù e, concretamente, nella contesa aperta del terreno sociale e politico in cui si agisce e nello sforzo per marginalizzare politicamente chi vuole tramutare la lotta degli studenti in una mera appendice dei giochi parlamentari del PD.

Parte III

LA NECESSITÀ DEL PARTITO COME SALTO DI QUALITÀ INDISPENSABILE E IRRINUNCIABILE

XX. La costruzione di una riconoscibilità politica legata ai processi di mobilitazione di massa e di classe è una necessità non più rimandabile. Questa verità non viene meno con le particolari condizioni in cui ci troviamo ad operare, molto diverse da quelle di un secolo fa, in cui l’intervento dei settori politici nell’organizzazione della lotta “economica” è funzionale all’esistenza stessa della mobilitazione. La necessità di dedicare costantemente energie militanti all’organizzazione del conflitto di classe e degli stessi momenti di mobilitazione non è una giustificazione per trascurare la necessità di mettere in campo, contestualmente, un riferimento adeguato sul piano politico. Se questo non verrà fatto, l’unico risultato sarà che le migliori energie della classe operaia, degli studenti, del proletariato volenterose di portare la propria lotta anche sul terreno dell’opposizione politica al governo, troveranno il proprio riferimento politico altrove, orientandosi verso il centro-sinistra, verso l’area liberal-europeista o venendo risucchiati nei tentativi di riorganizzare un’area politica sovranista-reazionaria al di fuori del centro-destra.

XXI. La nostra prospettiva di una ricostruzione comunista su basi classiste e rivoluzionarie oggi coesiste, nelle mobilitazioni di classe, con la presenza di proposte politiche di altra natura. Questo è diventato evidente anche ad osservatori esterni, ad esempio, nella mobilitazione nazionale del 3 dicembre contro il governo e la guerra. Un corteo che all’indomani di uno sciopero nazionale vedeva la convergenza delle due compagini più significative del 20 sindacalismo di base e conflittuale, il Si Cobas e l’USB, era nei fatti diviso in due poli principali, corrispondenti a due “blocchi politico- sindacali”, a cui potremmo sommare almeno un terzo che non era presente in piazza, se vogliamo identificare quelli che sono stati i principali raggruppamenti che hanno prodotto iniziative di lotta e mobilitazione di respiro nazionale:

a) Uno, quello che vedeva la convergenza di USB, PAP, Rifondazione, Rete dei Comunisti e le relative organizzazioni collaterali, è stata l’espressione politica in piazza del progetto di Unione Popolare, che rappresenta, di fatto, il ricompattamento in Italia di una forza di riferimento del Partito della Sinistra Europea. Come FGC non abbiamo partecipato ai processi elettorali che hanno rilanciato questa prospettiva e riteniamo che rimanga non condivisibile né praticabile. Per giustificare questa nostra posizione basterebbe menzionare le esperienze di compartecipazione ai governi borghesi in tutta Europa da parte dei partiti che aderiscono al Partito della Sinistra Europea, come in Portogallo dove per anni il Bloco de Esquerda ha governato con il Partito Socialista, in Grecia dove Syriza al governo con i nazionalisti si è resa per anni esecutrice delle politiche di massacro sociale e affermata come alleato più affidabile della NATO nella regione, o in Spagna dove tutt’oggi Unidas Podemos è forza attiva di governo. La natura del Partito della Sinistra Europea come principale centro politico dell’opportunismo in Europa – inteso, sia chiaro, nel senso leninista di questa parola – e forza di amministrazione del capitalismo “da sinistra” è confermato dai fatti.

b) Un altro blocco che incarnava una diversa progettualità politica, nella mobilitazione del 3 dicembre, è stato quello nato dall’appello alla costruzione di uno spezzone di classe, che vedeva la convergenza di SI Cobas, FGC, Fronte Comunista, Laboratorio Politico Iskra, Movimento Disoccupati 7 Novembre e altre forze politiche (TIR, Militant) e sindacali (SGB, una componente di lavoratori ex Alitalia e altri settori di sindacati di base). Questo settore, di cui eravamo parte integrante, esprimeva la necessità di un’opzione politica classista e rivoluzionaria, assieme alla necessità di un’opposizione politica al governo Meloni, alla guerra, al carovita.

c) Esiste almeno un altro “polo” politico-sindacale in Italia che ha avuto un ruolo di rilancio della mobilitazione politica nell’ul21 timo anno ma che ha scelto di non essere presente in piazza a Roma il 3 dicembre, cioè quello che si mobilita attorno al percorso “Insorgiamo” lanciato dal Collettivo di Fabbrica dei Lavoratori GKN. Una scelta che evidenzia, sicuramente, i limiti del sindacalismo di base e conflittuale, e con essi i nostri limiti politici, rispetto alla necessità di “uscire dall’angolo” e costruire scioperi che siano davvero “generali” e il più possibile allargati nella partecipazione. Ma contemporaneamente segnala i limiti della prospettiva che oggi viene indicata da quel percorso, a cui pure il FGC ha contribuito con le proprie forze militanti. È un percorso di lotta importante, partito da una vertenza specifica ma che ha avuto la consapevolezza della necessità di legarsi a un piano di lotta politica per durare nel tempo. Un percorso che affonda la sua grande potenzialità proprio nel suo baricentro classista, che è quello dell’unica fabbrica occupata in Europa da oltre un anno e che ha tentato di porre al centro della sua lotta il legame con altri settori operai, chiamando alla mobilitazione unitaria tentando di far saltare il banco delle divisioni sindacali. Eppure, questo percorso non è entrato in campo per dare il suo contributo al processo che ha portato allo sciopero del 2 dicembre e alla mobilitazione del 3 dicembre, che ha avuto certamente tanti limiti, ma che non aveva alternative credibili. Questo avviene anche per una precisa ragione politica: nella costruzione della “convergenza” e di un livello di mobilitazione sul terreno “di movimento”, più ampio delle sole forze di classe – che non è da rifiutare di per sé, specie in chiave solidaristica nei confronti della vertenza GKN -, proprio l’elemento di maggiore eccezionalità e potenzialità che era l’impostazione classista del Collettivo di Fabbrica ha perso terreno e centralità, rispetto a un richiamo unitario basato sulla concezione post-moderna della “intersezionalità”. Questo paradigma “di movimento”, a conti fatti, non riesce oggi a indirizzare molte forze fresche al di fuori di ciò che potremmo definire “le macerie di Genova”. Non pensiamo che il problema sia il tentativo di lanciare in qualche modo una sfida egemonica a partire da una lotta operaia esemplare, tutt’altro. Pensiamo che per vincere questa sfida serva la forza per far avanzare la prospettiva di classe e il movimento operaio come centro propulsore di questo processo egemonico, senza sacrificare questo elemento sull’altare del mantenimento di un consenso più largo nel breve termine, ma non in grado di sedimentare un effettivo spostamento dei rapporti di forza.

XXII. La più ampia unità del movimento operaio e sindacale è imprescindibile anche per la possibilità di far avanzare l’organizzazione delle avanguardie di classe in partito. Questo non perché il FGC ha un’impostazione “economicista” e pensa che il partito rivoluzionario nascerà per sviluppo lineare della lotta economica e del movimento di classe. Si tratta, piuttosto, di far vivere un processo di raggruppamento e di sedimentazione politica sul terreno del movimento reale e in rapporto dialettico con esso. I “poli” e percorsi politico-sindacali menzionati in precedenza esistono nei fatti, come sono sempre esistite diverse tendenze politiche nel movimento operaio, ed è normale che coesistano in un unico movimento di classe, sul terreno della mobilitazione e della lotta dei lavoratori. Su questo, anche il piano più immediato della convergenza inter-sindacale e sulle date di sciopero e mobilitazione assume un’importanza non trascurabile. Piuttosto che dividere le giornate di mobilitazione sulla base delle divergenze politiche tra le diverse dirigenze sindacali, è invece opportuno che le opzioni politiche esistenti possano confrontarsi dialetticamente – anche aspramente – dinanzi alla classe e alle sue avanguardie più combattive, nel terreno concreto della lotta e del movimento reale. La parola d’ordine del fronte unico di classe rimane valida anche per questo, cioè per non tramutare la divisione tra le opzioni politiche esistenti in frammentazione del movimento di classe organizzato. Altrimenti, il risultato sul lungo termine sarà non solo dividere gli elementi più coscienti della nostra classe indebolendo anche la lotta più immediata contro il carovita e l’attacco padronale, ma anche isolarsi – complessivamente e reciprocamente, come avanguardie politiche – dal terreno reale su cui poggiamo i piedi.

XXIII. È necessario che il FGC intensifichi i propri sforzi nel processo di ricostruzione comunista, dando continuità agli indirizzi tracciati dal III Congresso Nazionale del 9-12 giugno. Contribuire alla costruzione in Italia del partito comunista, al processo di condensazione e raggruppamento dei comunisti e delle avanguardie di classe in partito, è uno degli obiettivi fondanti del FGC, ma anche una necessità storica sempre più impellente, che ci viene continuamente sollecitata dalle condizioni oggettive e dalla fase storica e politica che stiamo vivendo. Ogni giorno che tardiamo su questo processo, consegniamo al nemico di classe almeno una parte dei nostri sforzi quotidiani nel lavoro di massa. Siamo ben coscienti che un partito non nasce per auto-proclamazione e che non è sufficiente la semplice ricomposizione senza chiarezza politica. Pensiamo però che sia necessario porre, in forma sempre più pubblica e aperta, il dibattito franco sulla ricostruzione comunista, visto che è sul piano della chiarificazione politica delle posizioni rivoluzionarie che avanza concretamente la costruzione del partito. Nei prossimi mesi, il CC del FGC si impegna a farsi carico dello sforzo politico e teorico necessario a produrre materiale utile al dibattito tra le forze che oggi sono disponibili al confronto sulla ricostruzione comunista, a intensificare lo scambio e il dibattito aperto con queste forze atto a verificare la possibilità di passaggi organizzativi, a partire dal Fronte Comunista (FC) e dalle organizzazioni territoriali e nazionali con cui in questi mesi abbiamo condiviso momenti di scambio politico e percorsi di lotta. Come seppe fare 10 anni fa il FGC al momento della sua fondazione, è necessario rompere gli indugi, lavorare attivamente al processo di raggruppamento rivoluzionario dei comunisti in Italia. È un processo, che nelle condizioni attuali non può ammettere l’illusione che possa esistere un unico momento risolutivo. È possibile, però, avanzare concretamente, mossi dalla convinzione e dalla consapevolezza che l’orizzonte ultimo della lotta di classe non può esaurirsi nei margini del capitalismo, nell’accettazione dello sfruttamento, della barbarie, della guerra imperialista. La lotta della nostra epoca è la lotta per il socialismo. Senza il partito non solo questa, ma ogni altra lotta è perduta.

Qui file pdf scaricabile: IL GOVERNO MELONI E IL RUOLO DEI COMUNISTI IN QUESTA FASE