NON UN’ARMA, NON UNA BASE, NON UN EURO PER LA GUERRA IMPERIALISTA! COSTRUIAMO LA MOBILITAZIONE PROLETARIA E DI MASSA CONTRO LA GUERRA

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Il prossimo 24 febbraio ricorrerà un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, escalation di portata epocale di un conflitto che si protraeva da anni. Fin dai primi momenti, come organizzazioni comuniste, internazionaliste, militanti ed operaie abbiamo denunciato la natura imperialista di questa guerra. La guerra in Ucraina tra laFederazione Russa e l’alleanza euro-atlantica USA-UE-NATO ha le sue basi nella crisi generale del sistema capitalista su scala globale e, quindi, in un’accentuata competizione tra le principali potenze capitalistiche che sta conducendo i proletari di tutto il mondo verso il rischio di un nuovo conflitto mondiale di cui diventerebbero la carne da macello.
I monopoli italiani sgomitano aggressivamente per guadagnare migliori posizioni e maggiori profitti nella competizione a livello internazionale, e le decisioni prese dai governi Draghi e Meloni nell’ultimo anno spingono l’Italia in un coinvolgimento ancora più profondo nella guerra imperialista. Da poche settimane il governo Meloni ha riconfermato ingenti finanziamenti e invio di armi per tutto il 2023, con lo stanziamento del sesto pacchetto di “aiuti” militari all’Ucraina votato a larga maggioranza in Parlamento da quasi tutte le forze politiche. L’invio di carri-armati, mezzi pesanti e sistemi di difesa di ultimissima generazione anche da parte di paesi come Germania, Polonia, USA, confermano la tendenza ad un’ulteriore escalation bellica, con la possibilità che i piani di guerra del blocco euro-atlantico portino a conseguenze militari dirette sul territorio italiano. Questa corsa al riarmo e la maggiore integrazione dell’Italia nel blocco USA-UE-NATO sono funzionali al consolidamento del ruolo, del peso e degli interessi specifici dell’imperialismo italiano nell’Est Europa, nei Balcani, nel Mediterraneo e dovunque gli sia possibile.
Nel frattempo il forte aumento dei prezzi dei beni di consumo rende sempre più difficile arrivare alla fine del mese a milioni di persone. L’inflazione colpisce i salari dei lavoratori e delle lavoratrici, già magri e fermi da anni, e resi instabili dalla liberalizzazione dei contratti a tempo determinato fino al punto che ormai larghissimi settori della classe lavoratrice si sentono a rischio licenziamento. In secondo luogo, l’attacco a misure come il Reddito di Cittadinanza crea una situazione ancora più insostenibile per le centinaia di migliaia di disoccupati che, da Nord a Sud, non riescono a trovare un lavoro e che in questo modo si trovano ad essere gettati ancora di più nella povertà. Le politiche del Governo Meloni, quale governo dei monopoli e dei grandi capitalisti, colpiscono senza tregua i proletari, e con una particolare violenza, materiale e ideologica, i nostri fratelli di classe immigrati e le donne proletarie.
Il fatto che ad oggi non esista, nonostante la necessità oggettiva, un forte movimento contro la guerra che abbia come protagonista la classe operaia, è dovuto innanzitutto alla condizione di grande frammentazione del movimento operaio e sindacale ed è intimamente legato con le difficoltà nell’affermare una chiara posizione contro la guerra imperialista dal punto di vista rivoluzionario. Da una parte in questo anno si sono viste diverse manifestazioni, soprattutto all’inizio dell’invasione russa, apparentemente pro-pace trasformarsi in piazze in aperto sostegno al governo ucraino; dall’altra le posizioni campiste presenti da tempo in Italia hanno indirizzato alcuni settori sul versante del sostegno aperto alla Russia di Putin, sulla base degli interessi immediati dei settori capitalistici e della piccola borghesia più legati a questa prospettiva. In entrambi questi casi, si è riprodotta la polarizzazione tossica presente nel dibattito pubblico, in cui gli interessi dei lavoratori sono di fatto assenti, e si cerca di far schierare i proletari come massa di manovra in questo o quel campo della borghesia.
Le mobilitazioni negli scorsi mesi del mondo “pacifista” e cattolico, con un ruolo non certo secondario della CGIL, nonostante raccogliessero persone con posizioni fortemente diverse tra di loro, hanno avuto la capacità di portare in piazza decine di migliaia di lavoratori e studenti su un sentimento di genuina, anche se generica, opposizione alla guerra. Non possiamo certo lasciare ai vari PD e 5 Stelle – tra i principali complici dell’invio di armi in Ucraina e del coinvolgimento dell’Italia nei piani imperialisti – l’esclusiva di parlare a questi segmenti sociali che sono in allargamento: occorre denunciare con forza davanti ad essi e dentro di essi il ruolo delle forze politiche sia di Governo che di “opposizione” quali co-responsabili dell’acuirsi del conflitto in Ucraina e del taglio della spesa sociale a favore di quella di guerra. Senza questo intervento la parola d’ordine della pace continuerà ad essere trasformata in una parola vuota, a servizio degli interessi di una delle fazioni capitalistiche in campo, ovvero – qui in Italia – a servizio dello schieramento euro-atlantico. Serve, ora più che mai, costruire la mobilitazione sociale contro la guerra imperialista, anzitutto contro l’imperialismo di “casa nostra”, ponendoci in netta opposizione a tutti i piani che stanno scaricando sulla classe lavoratrice il costo del conflitto.
Per questo, nelle prossime settimane e mesi, continueremo a intervenire ovunque possibile, in tutte le iniziative di lotta in tutto il paese, per far risaltare un punto di vista di classe nel dibattito pubblico – partendo dai lavoratori, dai disoccupati e dagli studenti – e per polarizzare in senso rivoluzionario le legittime aspirazioni di pace della gran parte dei proletari di questo e di tanti altri paesi.
La settimana dell’anniversario dell’invasione russa porterà attenzione sulla guerra, quanto meno perché vedrà l’ulteriore tentativo a media unificati di far passare tra le masse le parole d’ordine in sostegno alle misure belliciste promosse dal governo Meloni e dal blocco NATO-UE. Questa condizione ci porta ad intensificare i nostri sforzi, ma di per sé non produce un livello superiore di mobilitazione contro la guerra, né ci rende possibile cancellare con il volontarismo le condizioni di partenza in termini di rapporti di forza, di frammentazione e di mancanza di autonomia del movimento operaio. Rispetto agli scorsi mesi, anche il movimento pacifista più in generale porta una grossa responsabilità sul livello della risposta che si potrà dare, considerando che allo stato attuale sono state annunciate un piccolo numero di piazze locali e ci sono stati sostanziali passi indietro rispetto alla convocazione di una piazza nazionale precedentemente annunciata per il 25 febbraio a Roma. Passi indietro dovuti soprattutto alla direzione della CGIL, che dietro la scusa dell’impegno per le fasi finali del suo congresso, probabilmente nasconde il timore politico di poter mettere in moto un processo di mobilitazione contro la guerra che, parlando al 60-65% dei contrari alla guerra, potrebbe assumere una dimensione e degli obiettivi non controllabili e non conciliabili con l’agenda del centrosinistra.
In ogni caso, riteniamo che la riflessione su questo piano sia fondamentale per far avanzare le possibilità di raggruppamento del movimento contro la guerra. Ci sembra giusto impegnarci perché, in occasione di manifestazioni nazionali del mondo pacifista in futuro, ci sia l’impegno ad interagire con tutti i lavoratori che riconoscono in quel momento la necessità di manifestare contro la guerra, tanto in piazza quanto a livello mediatico. E per tanto la nostra proposta in questi casi è fare appello a lavoratori, studenti, disoccupati e movimenti di lotta per costruire un concentramento alternativo capace di aggregare e costituire in quelle manifestazioni l’alternativa ad una partecipazione più passiva, sulla base di posizioni coerentemente internazionaliste e di classe – che si oppongono tanto alla guerra imperialista quanto alla “pace” imperialista, e respingono l’idea che un semplice accordo diplomatico tra i blocchi imperialisti possa rappresentare altro se non un momentaneo assestamento che contiene già tutte le condizioni per escalation belliche di dimensioni ancora maggiori.
Riconoscere lo stato complessivo e le difficoltà che abbiamo davanti, d’altra parte, non può in alcun modo portarci all’immobilismo in attesa di condizioni migliori. Anzi, ci dà la consapevolezza necessaria per indirizzare i nostri sforzi in maniera efficace per il raggiungimento di avanzamenti reali, intervenendo in tutte le mobilitazioni messe in campo dai vari settori del movimento operaio riconoscendo limiti e potenzialità di ogni mobilitazione. Questo principio vale per la giornata del 25, in cui siamo consapevoli che non esisterà già la mobilitazione che servirebbe, ma in cui la nostra prospettiva e le nostre parole d’ordine così come le abbiamo definite nel convegno del 16 ottobre a Roma, dovranno avanzare nelle piazze. Saremo nelle piazze lanciate dal SI Cobas a Milano e Bologna, convocate su una piattaforma in continuità con la manifestazione del 3 dicembre a Roma, quando abbiamo sfilato uniti con i proletari della logistica in uno “spezzone di classe” che ha espresso con forza le nostre posizioni caratterizzanti. Parteciperemo anche alla manifestazione chiamata dal Calp di Genova, sebbene vi siano espresse posizioni politiche in più direzioni ambigue sulla natura della guerra e della lotta contro di essa e altrettanto discutibili modalità di convocazione, perché riconosciamo l’importanza dell’impegno nella lotta per bloccare la circolazione delle armi nei porti e per le condizioni dei portuali dimostrate ulteriormente dai fatti degli ultimi giorni, tra lavoratori morti sul lavoro nei porti e licenziamenti. Parteciperemo alle altre manifestazioni e iniziative che sono state convocate per la giornata di sabato: da quella di di Roma, convocata da SI Cobas e CUB con la partecipazione di organizzazioni politiche e sociali, a quella di Venezia e a quella promossa dal movimento NO MUOS a Niscemi.
Con questo spirito, continuiamo in queste settimane la nostra lotta per fermare l’invio di armi e il sostegno militare al governo ucraino da parte del governo italiano, per la chiusura di tutte le basi USA e NATO, per l’uscita dell’Italia dalla NATO e da ogni alleanza imperialista transnazionale, che intendiamo come parte integrante e irrinunciabile della lotta rivoluzionaria per una società socialista e il potere dei lavoratori, e non come riposizionamento e ri-orientamento della politica estera dell’Italia capitalistica. Vogliamo riportare al centro la voce dei lavoratori e di tutti gli sfruttati, per la modifica dei rapporti di forza a favore della classe lavoratrice, per il rovesciamento di questo sistema parassitario, produttore di morte.
NO ALL’INVIO DI ARMI, BASTA SACRIFICI PER LA GUERRA!
CONTRO GUERRA, GOVERNO E CAROVITA: LOTTA DI CLASSE!
PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI!
Firmatari:
Collettivo Militant
CSA Vittoria
Fronte Comunista
Fronte della Gioventù Comunista
Laboratorio Politico Iskra
Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria