RIAPRIAMO IN ITALIA UNA PROSPETTIVA COMUNISTA. CONTRO GUERRE IMPERIALISTE, GOVERNO E PADRONI. Risoluzione del Comitato Centrale del FGC.

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I. La situazione internazionale

II. Il governo Meloni e gli sviluppi politici in Italia

III. Il quadro a sinistra in Italia e i compiti dei prossimi mesi

IV. Il movimento comunista internazionale e la nascita dell’Azione Comunista Europea

I. La situazione internazionale

1. Gli sviluppi politici degli ultimi mesi confermano l’approfondirsi della competizione militare a livello internazionale, con il rischio di una escalation di guerra che appare sempre più concreto. La corsa agli armamenti prosegue, le alleanze tra i paesi capitalistici sono spinte verso una crescente polarizzazione in due “blocchi”, mentre il moltiplicarsi dei conflitti bellici, dall’Ucraina al Medio Oriente, genera ondate sempre maggiori di morti e di rifugiati.

Affermiamo che l’escalation in corso non è semplicemente il prodotto della postura aggressiva di singoli governi, ma è la diretta conseguenza della competizione politica, economica, commerciale tra diverse fazioni del capitale, tra i grandi monopoli finanziari, tra gli Stati capitalisti per la supremazia nel sistema imperialista internazionale.

Lo sviluppo capitalistico ineguale, il mutamento dei rapporti di forza internazionali sul piano economico e commerciale, l’emergere di nuove potenze capitalistiche che rivendicano una riarticolazione delle relazioni internazionali maggiormente corrispondente ai nuovi rapporti di forza, la spirale di crisi capitalistica, sono tutti fattori che contribuiscono a generare una competizione imperialista sempre maggiore, che ha per oggetto il controllo delle sfere di influenza, dei mercati e delle quote di mercato, dei territori, delle risorse energetiche e minerarie, delle rotte commerciali e di approvvigionamento.

A 100 anni dalla morte di Lenin, la concezione leninista dell’imperialismo come fase suprema dello sviluppo capitalistico resta più attuale che mai.

2. La questione palestinese è ritornata sullo scenario mondiale dopo i fatti del 7 ottobre e l’inizio di una guerra di sterminio scatenata da parte di Israele nella Striscia di Gaza. Il governo israeliano, composto da forze dell’estrema destra più fanatica, oltranzista e fondamentalista, ha lanciato un massacro che ha causato 30mila morti, decine di migliaia di feriti, orfani e mutilati e milioni di sfollati; il 70% delle vittime secondo fonti ONU è costituito da donne e bambini.

Un vasto movimento di solidarietà si è sviluppato in tutti i paesi del mondo – Italia compresa – per sostenere il popolo palestinese, chiedere la fine del massacro ed esigere la fine della compromissione dei governi con lo Stato di Israele. Nonostante gli sforzi dei media per mistificare la verità, l’ipocrisia del sostegno incondizionato alle politiche genocide di Israele diventa evidente a settori sempre più ampi della popolazione.

Ribadiamo quanto abbiamo affermato in precedenza nella dichiarazione del Comitato Centrale dell’8 ottobre 2023: nelle condizioni esistenti in Palestina, cioè in presenza di un’occupazione, di una politica di colonizzazione illegittima dei territori palestinesi, segregazione etnica e apartheid, il popolo palestinese ha diritto a lottare per la propria indipendenza ed emancipazione.

Contestiamo e denunciamo l’accusa di “terrorismo” che oggi viene rivolta arbitrariamente nei confronti della larga maggioranza delle forze politico-militari palestinesi. L’equiparazione tra Hamas e organizzazioni come l’autoproclamato “Stato Islamico”, propagandata dal governo israeliano e dai governi alleati, è priva di fondamento. A differenza dell’ISIS, “innestato” in Medio Oriente nel contesto generato dall’intervento imperialista contro Siria e Iraq, Hamas è una forza politico-militare emersa dalla società palestinese (per quanto non priva di sostegno internazionale); la sua base sociale risiede in quei settori della borghesia palestinese che considerano fallito il processo degli accordi di Oslo e ritengono che l’unica base per la fondazione di un vero Stato palestinese non sta nell’accordo con Israele, ma nell’affermazione di una capacità militare a fondamento di un’autorità politica, ciò che l’ANP non riesce ad essere.

Le organizzazioni storiche della sinistra palestinese, come il PFLP e il DFLP, persistono oggi sulla via della lotta armata in un contesto, quello di un’occupazione, che al di fuori di ogni considerazione nel merito politico rende del tutto legittima quella scelta. La dichiarazione congiunta del 28 dicembre tra Hamas, PFLP, DFLP, PIJ e PFLP-GC, ha ribadito il rifiuto delle organizzazioni politico-militari della resistenza palestinese a qualsiasi ipotesi di “soluzione” per il futuro della Striscia di Gaza separata dalla questione palestinese nel suo insieme e imposta dall’esterno, lanciando al contempo una grande sfida alla leadership dell’ANP ormai priva di qualsiasi legittimazione.

Alla luce della posizione del governo israeliano di contrarietà alla nascita di uno Stato palestinese – che porterebbe con sé necessariamente la nascita di un esercito regolare – l’accusa di terrorismo nei confronti delle forze politiche-militari appare ancora più ipocrita: ai palestinesi viene chiesto semplicemente di rinunciare alla lotta e subire, senza avere nulla in cambio, in un contesto in cui è lo stesso diritto delle Nazioni Unite a riconoscere il diritto alla resistenza armata. Allo stesso modo, è irricevibile l’utilizzo dell’accusa di terrorismo da parte dei paesi della NATO, che negli scorsi decenni hanno sponsorizzato dall’esterno gruppi come ISIS, il cosiddetto “Esercito Libero Siriano”, e prima ancora i mujaheddin di Osama Bin Laden.

Sosteniamo il popolo e la resistenza palestinese, a partire dalle sue organizzazioni laiche e progressiste. Denunciamo la complicità del governo italiano, della UE, degli USA e della NATO nel sostegno alle politiche criminali dello Stato di Israele. Chiediamo un cessate il fuoco immediato e la fine del massacro in corso a Gaza, il riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente e sovrano. Supportiamo l’accusa di genocidio avanzata dal governo sudafricano presso la Corte Internazionale di Giustizia; pur consapevoli che la sorte del popolo palestinese non sarà determinata in ultima istanza dalle istituzioni di diritto internazionale.

Per tutto questo, continueremo a sostenere e organizzare la mobilitazione costante nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro.

In particolare, a fronte della grande partecipazione popolare alle mobilitazioni, riteniamo necessario uno sforzo maggiore nella chiarificazione delle posizioni in campo sulla questione palestinese e nella promozione degli obiettivi più avanzati.

Nel movimento oggi esistente, purtroppo, si sconta l’assenza di una vera direzione politica, o quantomeno di una capacità da parte delle forze più avanzate di esercitare una funzione di indirizzo in tal senso e comunicare in maniera efficace una posizione politica avanzata.

La grande adesione di massa origina dal sentimento di solidarietà umanitaria, dall’esistenza in Italia di una tradizione “di sinistra” di solidarietà alla Palestina, dal generico riconoscimento delle ragioni dei palestinesi; al netto di questo, però, l’incapacità dei comunisti e delle forze di classe di legare questo sentimento a una proposta politica concreta e riconoscibile rischia di lasciare terreno libero a opzioni di altra natura. Ad esempio, esistono alcuni settori del centro-sinistra non appiattiti sul sostegno assoluto a Israele, che oggi propongono come “soluzione” agli eventi in corso una nuova rilegittimazione dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Al-Fatah come “alternativa ad Hamas”, e cercano di promuovere nel movimento pro-Palestina queste posizioni, che muovono i passi dall’accettazione di fondo delle argomentazioni del governo israeliano contro le forze palestinesi.

Denunciando i piani imperialisti in Medio Oriente, sottolineiamo che la fine del massacro che il popolo palestinese subisce da decenni passa necessariamente per il riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale, la fine della colonizzazione illegittima, la garanzia del diritto al ritorno per i profughi palestinesi, la liberazione dei prigionieri politici.

3. Il 24 febbraio marca il secondo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha segnato un salto di qualità e un’escalation importante nel conflitto che da anni si combatteva nell’Est del paese.

La guerra imperialista che si combatte oggi in Ucraina tra la NATO e la Federazione Russa ha causato più di 10mila morti civili e milioni di profughi sparsi in tutta Europa. il numero dei morti militari, pur secretato e coperto dalla propaganda incrociata, viene stimato nell’ordine delle centinaia di migliaia.

Condannando senza riserve l’inaccettabile invasione russa, ribadiamo che quello che da comunisti denunciavamo già anni fa: le profonde responsabilità degli USA, della UE e della NATO nell’escalation in corso, dall’espansione ad Est del Patto Atlantico arrivando al sostegno al regime ucraino nato dal colpo di Stato del 2014 e alle milizie paramilitari neonaziste, oggi trovano piena conferma e sono ancor più evidenti nel cinismo con cui viene portata avanti la politica guerrafondaia di sostegno al governo di Zelensky.

Ad oggi la guerra in Ucraina appare come una lunga guerra di logoramento; la controffensiva ucraina è fallita mentre le forze russe proseguono verso una lenta avanzata. Il sostegno militare ed economico garantito all’Ucraina dai paesi della NATO e della UE non ha come obiettivo la vittoria militare dell’Ucraina – che appare irraggiungibile – ma, molto più cinicamente, il massimo logoramento della Russia, al costo di migliaia di vite umane. In nome della politica dell’invio di armi, delle sanzioni e dell’economia di guerra, continuano a essere chiesti sacrifici ai popoli.

Se la guerra aveva inizialmente prodotto un ricompattamento di tutti i campi imperialisti e delle rispettive borghesie, particolarmente evidente in seno alla UE, oggi si riaprono sempre più crepe tra queste forze e la solidità delle alleanze tradizionali torna a scricchiolare. Esempi di questo sono lo scontro nel Senato USA sul finanziamento degli invii di armi in Ucraina, la crisi al vertice del regime ucraino tra Zelensky e il capo delle forze armate Valery Zaluzhny, i malumori crescenti nei paesi UE – Italia compresa – da parte di settori delle borghesie nazionali, come anche lo scontro tra il governo russo e la compagnia militare privata “Wagner” consumatosi la scorsa estate.

Questa congiuntura politica evidenzia, ancora una volta, la necessità di costruire un’opposizione alla guerra autonoma e contrapposta alle tendenze politiche del campo borghese.

Denunciamo la guerra in Ucraina come una guerra imperialista da entrambe le parti; una guerra tra banditi in cui i popoli non hanno amici né salvatori, al di fuori di sé stessi. Ribadiamo la necessità di costruire in Italia un grande movimento operaio-popolare contro la guerra, per imporre la fine di ogni forma di compromissione dell’Italia nel conflitto ucraino.

4. La dimensione internazionale degli eventi in Medio Oriente e Palestina va letta alla luce del contesto generale della competizione imperialista.

Esponenti del governo iraniano hanno apertamente rivendicato la paternità dell’attacco del 7 ottobre, suscitando la risposta di Hamas che ha ribadito la centralità del proprio ruolo nella preparazione e nella realizzazione dell’operazione. Si sta ad ogni modo realizzando l’obiettivo strategico iraniano di fermare il processo degli “accordi di Abramo”, cioè la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i paesi arabi senza la soluzione della questione palestinese. Ormai da mesi, attacchi israeliani e/o statunitensi colpiscono obiettivi in Libano, Siria e Iraq; similmente accade da parte iraniana in Siria e Iraq, con un rischio sempre più concreto di un ulteriore allargamento del conflitto. Nel Mar Rosso, le forze militari di paesi NATO, UE e loro alleati intervengono oggi in coalizione per contrastare le operazioni militari degli Ansarallah yemeniti e garantire la circolazione delle merci dirette verso il Canale di Suez, con l’Italia che si è posta al comando della missione militare UE.

Questi sviluppi dimostrano che, nell’epoca odierna dell’imperialismo e della competizione inter-monopolistica, le contraddizioni generate dai contesti bellici di invasione e occupazione dei territori vedono necessariamente la sovrapposizione, contraddittoria ma inevitabile, tra le legittime aspirazioni dei popoli nella lotta contro le occupazioni straniere e per la propria autodeterminazione, con i piani imperialisti che cercano la propria legittimazione proprio nelle aspirazioni dei popoli, presentandosi come “salvatori” e “amici”. La stessa retorica utilizzata dal governo russo per giustificare l’intervento militare in Ucraina in difesa delle popolazioni del Donbass oppresse dal regime ucraino, largamente sovrapponibile a quella utilizzata dalla NATO negli anni dell’aggressione alla Jugoslavia, è un ulteriore esempio di questo problema.

5. Nel contesto della spirale bellica, si intensificano le contraddizioni interne all’Unione Europea. Si verificano nuove spinte nazionaliste e in una crescita delle formazioni reazionarie pressoché in tutta Europa. Particolarmente significativa, da questo punto di vista, è la situazione della Germania. Anche in virtù di un quadro che vede la concreta possibilità di una recessione dell’economia tedesca per la prima volta da diversi decenni, dovuta principalmente all’impatto del conflitto tra Ucraina e Russia sugli interessi dei monopoli tedeschi, negli ultimi mesi si è determinata un’ulteriore crescita del partito di estrema destra Alternative für Deutschland che, secondo i sondaggi più recenti, si attesterebbe come secondo partito dopo la CDU.

6. In questo contesto, in numerosi paesi europei – tra cui Italia, Francia Germania, Grecia, Belgio – si è sviluppato un movimento di protesta da parte di agricoltori e allevatori contro la Politica Agricola Comune dell’UE. Questo movimento, nato dal malcontento di questi settori contro le politiche predatorie dei grandi monopoli che realizzano enormi profitti imponendo prezzi di acquisto stracciati nella grande distribuzione, conferma l’importanza per i comunisti di dotarsi di una strategia moderna e avanzata di alleanza sociale, per saldare le lotte di questi settori schiacciati dalla concentrazione capitalistica con quelle dei settori più avanzati del movimento operaio e di classe, in un fronte comune anticapitalista e antimonopolista.

La natura spuria, contraddittoria e complessa di questo movimento, così come la matrice sostanzialmente piccolo-borghese delle sue rivendicazioni e il ruolo stesso delle piccole imprese nella struttura capitalistica italiana, sono cosa ben nota. Altrettanto noto, per chi conosce la storia, è che, quando le forze del movimento di classe falliscono nel rapportarsi a questi settori sociali, è la reazione a reclutarli nelle proprie fila. La difficoltà che oggi scontiamo in Italia nell’avviare questo lavoro è legata alle condizioni oggettive di arretratezza delle forze di classe, politiche e sindacali.

Tuttavia, riaffermiamo che in questo contesto la sfida che si pone ai comunisti è quella di interloquire con questi settori sociali, dotare il movimento operaio e comunista di una riconoscibilità, di un’attrattiva e di una capacità di direzione; di non porsi alla coda delle posizioni più arretrate ma al contrario avanzare proposte politiche avanzate capaci di creare questa saldatura, aprire un terreno di lotta comune, isolare i settori più reazionari, destrorsi e filo-capitalistici dei movimenti dei produttori agricoli.

Sappiamo bene che questa prospettiva andrà messa alla prova sul campo, sperimentata, elaborata e corretta alla luce degli sviluppi concreti e delle contraddizioni che inevitabilmente emergeranno. La classe operaia in Italia deve oggi ancora riabituarsi alla lotta, e quella di cui parliamo è davvero una delle sfide più complesse. Ciò nonostante, è necessario tenere aperta questa prospettiva, perché anche da questo dipenderà la vittoria o la sconfitta di un’opzione rivoluzionaria in Italia e in Europa.

II. Il governo Meloni e gli sviluppi politici in Italia

7. A poco meno di un anno e mezzo dal suo insediamento, il carattere reazionario e antipopolare del governo Meloni è sotto gli occhi di tutti. Il governo “dei patrioti” ha smantellato il reddito di cittadinanza in nome della guerra ai “fannulloni”, ha prodotto leggi di bilancio lodate da Mario Monti per la loro austerità e le spese contenute, mantenendo nel frattempo l’economia di guerra in nome degli “interessi nazionali” e dell’allineamento dell’Italia ai piani imperialisti della NATO e dell’UE. Il richiamo al “patriottismo” si conferma sempre più l’espediente utilizzato nel tentativo di saldare il consenso popolare alle ambizioni e interessi dei settori dominanti del capitale italiano, vera bussola dell’azione delle forze di governo.

8. Le riforme istituzionali annunciate dal governo Meloni sono orientate all’idea di “adattare” le istituzioni dello Stato alle necessità dei settori capitalistici.

La prima è l’autonomia differenziata, riforma che giunge a compimento a seguito di un vero e proprio baratto politico con la Lega.

Questa riforma dell’assetto regionale dell’Italia, che solo a parole garantirebbe il rispetto dei “livelli essenziali delle prestazioni”, prosegue nel solco della riforma del Titolo V della Costituzione voluta e realizzata dal centro-sinistra, che ha delegato importanti materie come la sanità, il diritto allo studio, il commercio alla legislazione delle Regioni. Il risultato è ben noto ai lavoratori e alle fasce più povere: 20 diverse sanità regionali tra cui barcamenarsi, un’istruzione pubblica sempre più differenziata tra Nord e Sud, uno scarico di responsabilità costante tra Stato e Regioni rispetto all’assenza di garanzie per i diritti basilari in un contesto in cui, ad esempio, tagliare i fondi statali al diritto allo studio o tagliare i fondi statali alle Regioni produce effetti spesso equivalenti. In barba alla retorica “patriottica”, l’autonomia differenziata incrementerà ancor di più le divergenze tra Nord e Sud e tra le Regioni in generale, incrementando ingiustizie e disuguaglianze.

Inoltre, una riforma che promuova un maggiore decentramento amministrativo in queste condizioni assesterebbe un colpo ulteriore alla già disastrosa incapacità delle Regioni di gestire il dissesto idrogeologico, resa evidente dall’assoluta insufficienza e disorganizzazione dei soccorsi in seguito alle recenti alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana.

È significativo osservare come questa riforma sia a suo modo divisiva anche nel campo borghese, con alcune forze politiche borghesi che vi si oppongono con l’argomento che “le imprese che operano su tutto il territorio nazionale dovranno interfacciarsi con 20 regolamenti regionali diversi”. Si tratta, effettivamente, di una posizione che si basa sulla diversità del tessuto industriale e capitalistico italiano, che produce al suo interno diverse visioni e interessi.

Nel riaffermare la contrarietà dei comunisti a questa riforma, pertanto, sottolineiamo ancora una volta la necessità di una solida postura di classe, che porti nell’arena politica il punto di vista e gli interessi della classe lavoratrice, in una forma irriducibile agli interessi della classe avversaria.

9. Con altrettanta decisione è necessario opporsi alla riforma costituzionale relativa alla forma di governo, promossa dal governo Meloni con la formula del “premierato”.

Questa proposta così formulata è l’inevitabile compromesso tra la storica posizione di Fratelli d’Italia in favore di un semi-presidenzialismo “alla francese” e gli interessi dei diversi partiti presenti nella coalizione di governo.

È opportuno evidenziare che, come avviene da anni, la vera sostanza di cui si discute non è in sé la forma di governo, ma il modo più efficace per ottenere governi più stabili, capaci di amministrare gli interessi capitalistici riducendo al minimo le “scaramucce” tra i partiti e la necessità di mediazione tra capitale e politica.

In questo senso, la formula “premierato” è ingannevole, perché il cuore della riforma che si propone – e di cui ancora non esiste una proposta definitiva, essendo le discussioni in corso – non è l’elezione diretta del primo ministro, che di per sé configurerebbe una forma “ibrida” tra il sistema parlamentare e quello semi-presidenziale con pochi precedenti nella storia.

La vera discussione – almeno finché la proposta resta nell’ambito di un sistema parlamentare e quindi di un rapporto di fiducia tra parlamento ed esecutivo, necessario a governare – riguarda proprio la costruzione di una maggioranza parlamentare. In questo senso, deve essere chiaro che qualunque ipotesi di inserimento nella Costituzione di un premio di maggioranza rappresenta un arretramento dei rapporti di forza e una ulteriore torsione antidemocratica dell’ordinamento italiano, rispetto alla quale l’elezione diretta del premier sarebbe davvero uno specchietto per le allodole. Il primo tentativo di inserire un premio di maggioranza in Italia fu, non a caso, denunciato dal PCI come “legge truffa”. Allo stato attuale la riforma prevedrebbe l’attribuzione di un premio di maggioranza tale da garantire il 55% dei seggi nelle Camere alle liste collegate al Presidente del Consiglio. Si tratterebbe, di fatto, dell’inserimento di una “legge truffa” all’interno della Costituzione.

Nel rispondere alle sollecitazioni su questo tema e su una prevedibile campagna referendaria, dovremo compiere uno sforzo nello spiegare e rendere comprensibile a livello di massa un concetto per noi basilare, ma non affatto scontato nel dibattito attuale: la stabilità del sistema politico non è un valore assoluto né neutrale. Non esiste, per la concezione del mondo e della società propria dei comunisti, la possibilità di giudicare positivamente o negativamente una maggiore stabilità delle istituzioni e dei governi in modo avulso dalle condizioni concrete e dai rapporti di forza tra le classi. In condizioni di regime capitalistico, come sono quelle in Italia, la stabilità dei governi capitalistici rafforza oggettivamente il dominio di classe e indebolisce la classe operaia. Da decenni, i partiti borghesi e i loro intellettuali si scervellano su come riformare le leggi elettorali e/o la forma di governo italiana per “semplificare il sistema dei partiti” e rendere i governi più stabili. A questo dobbiamo saper contrapporre la lotta per la massima instabilità dei governi dei padroni e per il loro rovesciamento.

10. Nel più assoluto silenzio dei media e dei partiti di “opposizione”, il governo Meloni sta portando al termine una riforma dell’istruzione – divisa in due disegni di legge – che potenzia il sistema dell’alternanza scuola-lavoro e l’integrazione territoriale tra scuole e imprese, rafforza gli Istituti Tecnici Superiori, introduce su larga scala la sperimentazione della riduzione a 4 anni per gli istituti tecnici e professionali e, nel secondo Ddl, riforma il voto di condotta facilitando la possibilità di bocciare gli studenti sulla base della condotta. Il fatto che questa riforma sia del tutto in linea con gli indirizzi della “Buona Scuola” del PD e, in sostanza, con quelli della Confindustria, l’ha relegata al silenzio mediatico, senza nessuna vera opposizione sollevata in Parlamento.

Nonostante le difficili condizioni, il FGC riafferma la necessità di promuovere la più ampia mobilitazione studentesca possibile, contro una riforma che rafforza il sistema della scuola-azienda asservita ai padroni, denunciando il governo e il sistema criminale dell’alternanza scuola-lavoro, che nel solo 2022 ha ucciso tre studenti.

11. La retorica “patriottica” e nazionalista del governo Meloni fa da sfondo a un’attività internazionale sempre più sfacciatamente volta a promuovere gli interessi dei monopoli capitalistici italiani, in uno scenario di aperta competizione. Le ambizioni imperialiste del capitale italiano vengono annunciate e promosse con sempre più sfacciataggine.

All’ondata di colpi di Stato in Africa culminata con quello in Niger, che nel giro di pochi anni ha scavato un fossato tra la Francia e diverse sue ex-colonie che oggi guardano alla cooperazione economica con le potenze capitalistiche euro-asiatiche (Cina, Russia…), il governo ha risposto che “ora è il tempo dell’Italia”. Il “piano Mattei per l’Africa”, prima annunciato e ormai messo in moto dal governo italiano con una “conferenza Italia-Africa” assieme ai capi di governo di 25 paesi del continente africano, prevede oggi investimenti per 5,5 miliardi di euro in paesi come Marocco, Algeria, Tunisia, Mozambico, Congo per progetti guidati da società partecipate, mentre si guarda all’Africa orientale per nuovi progetti.

Il proclama lanciato nei primi mesi di governo secondo cui servirebbe “più Italia nei Balcani”, allora legato alla volontà italiana di accompagnare l’integrazione dei paesi balcanici nella UE, è rapidamente evoluto nel vergognoso accordo con il governo albanese, che prevede la costruzione in Albania di campi di concentramento in cui deportare gli immigrati destinati al rimpatrio.

Le ambizioni imperialiste dei monopoli italiani vengono costantemente garantite dalla presenza militare italiana nelle regioni di maggiore interesse. Non è un caso che l’Italia si sia battuta per mantenere il comando della missione NATO in Kosovo, se si pensa che due delle tre maggiori banche in Serbia sono italiane (Banca Intesa e UniCredit), che in Serbia ci sono 1300 imprese italiane che costituiscono più del 5,5% del PIL serbo, con circa 30mila lavoratori. Similmente, non è casuale che l’Italia sia al comando della missione NATO in Iraq e mantenga la sua flotta nelle acque del Mediterraneo Orientale, regioni di interesse strategico per monopoli come ENI.

12. L’opposizione parlamentare al governo Meloni da parte di PD e M5S si dimostra non solo insufficiente, ma del tutto slegata dalla costruzione di una vera opposizione popolare e di massa. Il Partito Democratico e i suoi satelliti, trovandosi nel difficile compito di inventarsi una opposizione a un governo con cui condividono gran parte degli indirizzi economici e strategici, nonché la politica internazionale, continua a optare per un’opposizione fortemente incentrata su singoli temi “progressisti” e sull’appello all’antifascismo.

Quest’ultima scelta è particolarmente ipocrita perché, oltre i saluti romani, il processo ben più preoccupante di legittimazione del fascismo e della propaganda neofascista nella società, sul piano culturale e ideologico (revisionismo storico sulle “foibe” e criminalizzazione della resistenza, equiparazione antistorica tra nazismo e comunismo, ecc.), ha beneficiato per anni proprio della complicità del centro-sinistra.

Il Movimento Cinque Stelle, d’altra parte, nell’ultimo anno si è fortemente impegnato per costruirsi una nuova identità “socialdemocratica”, concentrandosi sui temi del salario minimo, del lavoro, sulla difesa del reddito di cittadinanza, spesso venendo inseguito proprio dal PD di Elly Schlein su questo terreno.

III. Il quadro a sinistra e il movimento di classe in Italia

13. Le forze della c.d. “sinistra di classe” in Italia sono ancora fortemente insufficienti rispetto alla necessità di costruire un’opposizione politica e di classe al governo che sia riconoscibile e capace di essere un punto di riferimento e di aggregare forze attorno a sé.

Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da grandi mobilitazioni di massa in solidarietà al popolo palestinese, che hanno visto la partecipazione di ampi settori di estrazione proletaria e di origine immigrata. Queste mobilitazioni si sono messe in moto in un momento in cui le forze di classe stavano scontando difficoltà significative nel costruire in maniera efficace un’ampia mobilitazione popolare contro la guerra in Ucraina e il coinvolgimento dell’Italia in quel conflitto. L’ultimo esempio di questo sono state, ad esempio, le tre manifestazioni contro la guerra organizzate in concomitanza nella giornata del 21 ottobre a Ghedi, Coltano, e Palermo, che hanno scontato una notevole fatica nel guadagnarsi una visibilità e una riconoscibilità politica, e sono riuscite solo parzialmente a porsi sul terreno della mobilitazione per la Palestina che iniziava già ad assumere le dimensioni di un movimento di massa.

Il nuovo contesto e, in particolare, la mobilitazione di settori del proletariato di origine immigrata, compresi giovani di seconda generazione, contiene enormi potenzialità e mette i comunisti e le avanguardie di classe dinanzi alla responsabilità di incanalare queste forze, promuovere l’unità e la convergenza tra il proletariato autoctono e quello immigrato; reclutare questi settori alla lotta di classe, rigettando ogni divisione su base etnica o religiosa.

Nel piccolo di ciò che può rappresentare, la mobilitazione nazionale studentesca del 17 novembre contro la riforma Valditara, che ha visto in diverse città gli studenti palestinesi e arabo-italiani sfilare alla testa delle mobilitazioni, come parte integrante del movimento studentesco italiano, è un risultato significativo e una risposta alla retorica xenofoba secondo cui la mobilitazione per la Palestina sarebbe legata esclusivamente agli immigrati ed “estranea” alla società italiana.

Con lo stesso spirito, abbiamo supportato lo sciopero nazionale del 23 febbraio e aderito alla manifestazione nazionale del 24 febbraio a Milano, che ha portato 50mila persone in piazza segnando un risultato importante per il rilancio del movimento antimperialista in Italia.

Nonostante questi risultati, l’urgenza più grande continua ad essere l’assenza di un soggetto politico radicato, riconosciuto e riconoscibile, che possa sedimentare ed essere al contempo riferimento di queste forze che si mettono in movimento.

La situazione a sinistra in Italia continua a essere caratterizzata dalla frammentazione, dall’esistenza di profonde divergenze strategiche e politico-ideologiche, da una disorganicità – salvo singole eccezioni – delle forze percepite come riferimenti politici rispetto alle strutture del movimento operaio e sindacale, che indebolisce fortemente la possibilità per i comunisti di imprimere effettivamente e in misura efficace una direzione rivoluzionaria ai piani di mobilitazione esistenti. È a questa urgenza che dobbiamo porre rimedio in modo efficace e nel più breve tempo possibile.

14. In questo contesto di arretratezza, è da prendere atto che numerose forze continuano a impegnare le proprie energie non nella risoluzione dei problemi strutturali del movimento comunista e operaio italiano, ma nella ricerca affannata di operazioni elettorali che possano dare una minima speranza di “risultato”. Questo contesto è oggi amplificato dalla prospettiva delle Elezioni Europee nel mese di giugno 2024.

A sinistra, le trattative verso le elezioni europee sono oggi incentrate sulla proposta di una coalizione elettorale “pacifista” attorno alla figura di Michele Santoro. Il progetto di Unione Popolare, nato dal ricongiungimento di PRC e PAP sotto la figura di Luigi De Magistris, registra oggi al suo interno una divisione politica dovuta a dissensi tra le sue componenti su questa prospettiva elettorale. Il gruppo dirigente di Rifondazione, ormai irriducibile sulla speranza di costruire ancora una “Syriza italiana” nella forma più ampia possibile, inseguendo cioè la “sinistra del centro-sinistra” (Sinistra Italiana e Verdi), ha ottenuto il consenso della maggioranza del CPN del partito sulla partecipazione al percorso della lista “Pace, Terra e Dignità” lanciata da Santoro. Sull’altro versante, Potere al Popolo ha proposto l’interruzione delle trattative in corso e il proseguimento in autonomia del progetto di Unione Popolare.

Al di fuori del campo della “sinistra”, ma sulla base di simili logiche elettoralistiche, il PC di Marco Rizzo ha accelerato e portato alle battute finali il processo della propria definitiva auto-liquidazione all’interno di un più ampio contenitore dalla matrice nazionalista, “sovranista” e reazionaria, arrivando alla costituzione in partito di “Democrazia Sovrana e Popolare” e mantenendo aperta un’interlocuzione con la formazione di Gianni Alemanno, al costo di nuove spaccature e dell’ennesima scissione dei pochi militanti rimasti dopo le numerose divisioni degli ultimi anni.

15. All’illusione di uscire dall’attuale condizione di arretratezza e isolamento con mere operazioni elettorali, il FGC deve contrapporre l’impegno serio, costante e prioritario nello sforzo per far avanzare il processo della ricostruzione comunista su ben altre basi: una teoria rivoluzionaria, l’individuazione delle direttrici fondamentali di una strategia rivoluzionaria nel XXI secolo, la difesa della storia del movimento operaio e comunista combinata con un bilancio critico condiviso, la difesa della concezione leninista dell’imperialismo, la convergenza effettiva delle avanguardie politiche e dei settori più avanzati della classe operaia e del movimento sindacale, il superamento delle forme organizzative attuali in favore di una forma-partito adeguata: il partito leninista.

Nei prossimi mesi, utilizzeremo il documento politico-ideologico sulla ricostruzione comunista “La lotta per il partito” come base di discussione e confronto con tutte quelle organizzazioni, collettivi e singoli militanti che in questi anni hanno condiviso con noi momenti di lotta, giornate di mobilitazione, percorsi di convergenza. Sappiamo bene che il tempo stringe, che il ritardo che scontiamo dinanzi agli appuntamenti della storia pesa sempre più come un macigno sulla possibilità di far avanzare una nuova speranza di riscossa.

IV. Il movimento comunista internazionale e la nascita dell’Azione Comunista Europea

16. Mentre la situazione della competizione imperialista a livello mondiale evolve rapidamente e trascina i popoli in spirali di morte e distruzione, un duro confronto politico-ideologico continua ad avere luogo in seno al Movimento Comunista Internazionale. L’escalation di guerra in Ucraina ha impresso una forte accelerazione, sviluppando le condizioni oggettive in cui le divergenze esistenti in merito alla concezione dell’imperialismo, al ruolo dei partiti comunisti e alla postura rivoluzionaria, si tramutano in scelte contrapposte che scavano un fossato tra quei partiti che si schierano in favore dei piani di uno o l’altro dei campi capitalistici in lotta, e i partiti che difendono l’autonomia politica della classe lavoratrice e rifiutano di scegliere un campo, ribadendo la necessità della lotta per una politica di classe autonoma, irriducibile ai piani di una o l’altra delle fazioni borghesi nella guerra imperialista.

Questo quadro, che similmente si ripropone nel movimento comunista giovanile, conferma che il contesto della guerra imperialista genera pressioni maggiori da parte del campo avversario. L’impossibilità di una posizione unitaria sull’escalation di guerra in corso, e i limiti oggettivi alla possibilità di sviluppare una comune strategia rivoluzionaria a livello internazionale, costituiscono oggi i più grandi freni al processo di rinascita di un forte movimento rivoluzionario mondiale.

Nel contesto attuale, il FGC ribadisce l’indirizzo assunto al 3° Congresso del 2022: lavorare per intensificare i legami bilaterali e multilaterali con le gioventù comuniste di tutti i paesi; promuovere il dibattito franco e il coordinamento internazionale dell’attività e delle prospettive strategiche tra le gioventù comuniste; rafforzare il raggruppamento di un polo rivoluzionario nel movimento comunista; lavorare per consolidare il carattere antimperialista della FMGD-WFDY e rafforzare, nel continente europeo, il ruolo del MECYO come importante spazio di discussione, confronto e coordinamento tra le gioventù comuniste a livello regionale.

17. Esprimiamo una valutazione positiva ed entusiasta in merito alla nascita dell’Azione Comunista Europea (ECA) che ha avuto luogo ad Atene lo scorso 18 novembre 2023, vedendo la convergenza di 12 partiti comunisti da Austria (PdA), Finlandia (KTP), Francia (PCRF), Grecia (KKE), Irlanda (WP), Paesi Bassi (NCPN), Spagna (PCTE), Svezia (SKP), Svizzera (PCS), Turchia (TKP), Ucraina (SKU) e, per l’Italia il Fronte Comunista (FC).

L’Azione Comunista Europea rappresenta il necessario passo in avanti dopo l’esperienza dell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa, raccogliendone l’eredità e gettando le premesse per il superamento dei limiti che l’avevano caratterizzata.

L’Iniziativa è stata un’esperienza importante e il cui bilancio resta positivo. Per un decennio, questa organizzazione ha rappresentato un polo di aggregazione e riferimento di forze comuniste in Europa, incoraggiando lo sviluppo di relazioni bilaterali e multilaterali e agevolando processi di maturazione ideologica di settori del movimento comunista in numerosi paesi, compreso il nostro. Negli ultimi anni, tuttavia, la capacità di azione dell’Iniziativa si era notevolmente compromessa, poiché al suo interno si erano riprodotte molte delle divergenze politico-ideologiche esistenti nel movimento comunista, in un contesto di pressione ideologica crescente, appesantito ulteriormente dalla guerra imperialista.

L’Azione Comunista si pone oggi l’obiettivo ambizioso di continuare nel solco di quell’esperienza, superando questi limiti, con un livello maggiore di integrazione politico-ideologica tra i partiti e uno sforzo maggiore al coordinamento comune degli sforzi di analisi e nella lotta. In particolare, è significativo che l’adesione all’Azione Comunista Europea sia vincolata al riconoscimento dei principi politico-ideologici enunciati nella sua dichiarazione costitutiva, che costituiscono una scelta di campo su tutte le questioni strategiche fondamentali del nostro tempo, sancendo al contempo l’incompatibilità con organizzazioni sovranazionali come il Partito della Sinistra Europea o la c.d. “Piattaforma Mondiale Antimperialista”.

Similmente, l’obiettivo, individuato in prospettiva, di una maggiore integrazione degli sforzi dei partiti tanto nell’analisi della realtà del mondo capitalistico contemporaneo, quanto nell’organizzazione concreta della lotta di classe e del suo coordinamento internazionale, costituisce una delle più grandi potenzialità dell’ECA, che può apportare un grande contributo allo sviluppo, alla ricostruzione e al rafforzamento dei partiti comunisti nei singoli paesi, Italia compresa.

L’importante avanzamento rappresentato dalla nascita dell’Azione Comunista Europea, che riconosciamo sia per il suo valore politico che per il livello di organicità e convergenza nei fatti già esistente tra il FGC e il Fronte Comunista in Italia, può costituire un ulteriore indirizzo di lavoro anche per la gioventù, che integra quelli già esistenti. Pertanto, ci impegniamo a rafforzare le relazioni internazionali del FGC con le organizzazioni giovanili dei partiti che hanno aderito all’ECA.

Sulla base di queste valutazioni, ribadiamo che la nascita dell’ECA dovrà avere un ruolo centrale anche nel processo di ricomposizione e riaggregazione di forze per la ricostruzione comunista in Italia. A nostro avviso, esistono oggi le condizioni per intendere il processo di ricostruzione comunista in Italia come superamento dialettico delle forme di organizzazione politica esistenti; come un processo di sedimentazione e aggregazione delle avanguardie politiche e di classe in un partito che, da subito, assuma la prospettiva dell’adesione all’Azione Comunista Europea, come parte degli sforzi per il rafforzamento di un polo rivoluzionario e di classe nel MCI.