23 marzo. Progresso significa costruire un mondo per i lavoratori, non per il capitale.

Il 23 marzo scenderanno in piazza a Roma i movimenti di lotta contro le grandi opere inutili e per la lotta ai cambiamenti climatici. Il Partito Comunista e il Fronte della Gioventù Comunista saranno in piazza sostenendo queste giuste battaglie. In particolare riteniamo fondamentale in questo momento storico legare le giuste rivendicazioni ambientali a una prospettiva generale di cambiamento del modello di sistema e evidenziare allo stesso tempo il totale cedimento da parte del Movimento Cinque Stelle alle pressioni dei grandi gruppi capitalistici e la rinuncia ai punti più avanzati e di rottura del proprio programma elettorale.

La questione ambientale paradigma dell’insostenibilità del modello capitalistico.

Il capitalismo è un modello insostenibile per il futuro dell’umanità. Non è insostenibile assicurare a tutti una vita dignitosa, i beni e le esigenze essenziali per tutti. È invece insostenibile continuare a promuovere uno sviluppo e un consumo che è finalizzato esclusivamente alla riproduzione del capitale e alla concentrazione dei profitti nelle mani di pochi grandi monopoli finanziari, che allo stesso tempo impedisce alla stragrande maggioranza delle persone di poter avere una vita dignitosa e accesso ai beni essenziali.

In nome di questo interesse i consumi sono stati dirottati sui prodotti più profittevoli, ma non sempre – anzi quasi mai – più necessari; la produzione è orientata in relazione alla capacità di massimizzazione del profitto e non in relazione alle esigenze dei lavoratori e della salvaguardia ambientale. Questi paradigmi sono propri del sistema capitalistico stesso e non sono ascrivibili unicamente all’ingordigia o alla brama di profitti dei singoli capitalisti, è il sistema stesso ad essere malato e ad imporre, pena l’estromissione mercato, di sottomettere la tutela ambientale alle ragioni della concorrenza.

La tendenza generale all’aumento della produzione di merci, alla competizione al ribasso sui prezzi, come strumento per la conquista dei mercati, si pone in conflitto insanabile con la natura finita delle risorse del pianeta e con l’incremento dei costi sociali e ambientali che vengono scaricati sulla collettività per consentire il mantenimento dei margini di profitto privati. Spesso ignoriamo che la massiccia delocalizzazione produttiva verso paesi in via di sviluppo ha diminuito i costi delle merci non solo in ragione di condizioni salariali più basse per i lavoratori locali, ma anche per la possibilità di eliminare i costi di produzione legati alle limitazioni di inquinamento e agli standard minimi di sostenibilità che venivano richiesti nei pasi in cui la sensibilità ambientale cominciava già a crescere e svilupparsi a livello di massa. Ovunque le ricadute ambientali sono costi scaricati sulla collettività da parte delle imprese private, direttamente monetizzate dai capitalisti. In poche parole, il capitale ha subordinato tutto all’accrescimento dei propri profitti, anche a costo di distruggere l’ecosistema e mettere a rischio la sopravvivenza stessa di milioni di persone.

È ormai evidenza scientifica che i cambiamenti climatici siano un prodotto diretto dell’azione dell’uomo, intendendo con questa espressione il modello di utilizzo indiscriminato delle risorse che trae inizio proprio con l’affermazione al potere della borghesia e il suo consolidamento.

Ciò comporta sfide nuove: mutamento dei cicli climatici con conseguente distruzione delle produzioni agricole, siccità e desertificazione, fenomeni atmosferici di portata sempre più eccezionale, innalzamento dei mari e distruzione di habitat, oltre che conseguenze più profonde e ancora da analizzare. Ciò mette in atto processi epocali, come le migrazioni verso i paesi più sviluppati, innesca conflitti locali e guerre per il controllo delle risorse sempre più scarse.

Il capitale ha posto al suo servizio la scienza e la tecnica, impedendo lo sviluppo di tecnologie più sostenibili ove queste si pongano in conflitto con i profitti privati. L’enorme progresso scientifico della nostra epoca potrebbe essere indirizzato verso le reali sfide dell’umanità, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di milioni di persone e la sostenibilità della nostra esistenza rispetto all’ambiente in cui viviamo.

Il progresso della scienza e delle capacità dell’uomo consentirebbe oggi la soluzione di gran parte dei problemi che affliggono l’uomo e l’ambiente. Ma per far questo sarebbe necessario liberare l’immensa forza della scienza dalle sue catene capitaliste. Questo sarà possibile solo in una diversa società, in cui il potere sia nelle mani dei lavoratori e si perseguano gli interessi della maggioranza e non di una esigua e parassitaria minoranza. La questione ambientale diviene quindi oggi un nuovo paradigma della necessità storica dell’abbattimento del capitalismo e della costruzione di una società socialista. Per questo però è necessaria consapevolezza e il rifiuto di ogni falsa contrapposizione, alimentata scientificamente dai capitalisti, tra ambiente e lavoro. La versa contraddizione è tra ambiente e profitto.

L’ambientalismo capitalista di socialdemocratici e liberali

La centralità della questione ambientale nelle sfide e nel futuro dell’umanità attira inevitabilmente settori economici e politici, che tentano di strumentalizzare, per tornaconti immediati, la giusta lotta e l’attenzione posta da un numero crescente di persone nel mondo. La questione ambientale è divenuta elemento di conflitto internazionale tra Paesi non perché vi siano governi capitalistici più o meno inclini alla salvaguardia dell’ambiente, ma semplicemente perché anche le modifiche richieste nei trattati (si pensi alle emissioni), sono speculari agli interessi dei rispettivi settori monopolistici, e vengono utilizzate quali strumenti indiretti di lotta economica. Le conferenze intergovernative sul clima vengono piegate a questo scontro di interessi. Gli obiettivi, la loro estensione globale, le deroghe ad alcuni paesi, l’obbligatorietà o meno di tali vincoli sono decisi in base a questo confronto di interessi tra l’uno e l’altro settore monopolistico o conglomerato imperialistico. Tutto ciò come si può ben immaginare non necessariamente porta benefici dal punto di vista ambientale, anzi limita l’estensione e l’efficacia degli interventi di salvaguardia climatica.

I Partiti socialdemocratici e liberali in Europa tentano di utilizzare la questione ambientale come strumento per la propria affermazione nelle prossime elezioni europee, tentando di togliere terreno alle forze di destra. Si tratta di un’operazione che nulla ha a che vedere con la difesa dell’ambiente e che viene non a caso portata avanti dagli stessi partiti che in questi anni sono stati promotori degli interessi della finanza e delle grandi imprese. Per questo, con grande sostegno dei media, si scoprono iniziative in favore dell’ambiente, magari “promosse” da giovani, volti nuovi e puliti che di prestato inconsapevolmente a un gioco funzionale a togliere alle lotte per l’ambiente la portata realmente innovativa che oggi potrebbero avere, sottomettendole alle consuete logiche di contrapposizione tra settori del capitale, e tra partiti politici. Chiunque abbia a cuore la questione ambientale oggi non può che rifiutare queste strumentalizzazioni promosse non a caso dalle stesse forze che nei rispettivi Paesi sono corresponsabili delle peggiori politiche in favore degli inquisitori (tanto per citarne una si pensi alle responsabilità del PD sull’Ilva di Taranto)

Queste stesse forze alimentano l’illusione della possibilità di un’economia verde trainata da imprese ecosostenibili. La retorica della green economy, però, è utile soltanto a quelle imprese che beneficeranno dell’ennesimo trasferimento di risorse pubbliche, sotto forma di incentivi, in mano privata. Infatti non può esistere un modello pienamente sostenibile dal punto di vista ambientale in un sistema economico che antepone a qualsiasi altro aspetto la ricerca del maggior profitto privato possibile. L’idea di un capitalismo buono fatto di imprese verdi, che comunque mantengono invariato lo sfruttamento ai danni dei lavoratori e il saccheggio delle risorse dei popoli (non più il petrolio, ma cereali per biocarburanti per esempio), si infrange di fronte a una realtà in cui la sostenibilità ambientale viene cercata soltanto dove essa può garantire un abbattimento dei costi o la possibilità di aprire nuovi mercati su cui fare profitto, non considerando invece le reali esigenze del nostro pianeta.

Il paradigma delle grandi opere utili alla speculazione e non alle classi popolari e la mancata riconversione.

La lotta dei comunisti contro le grandi opere inutili, non è una battaglia contro il progresso e per l’immobilismo. Non significa sposare teorie decresciste o antistorici ritorni al passato. Non è una critica rivolta alla scienza, alla tecnica e alle nuove possibilità che l’innovazione tecnologica consente. Tutt’altro. La nostra è una critica sull’utilità di quelle opere rispetto ad altre più urgenti e necessarie, che sarebbero utili a migliorare la condizione quotidiana di milioni di lavoratori e delle rispettive famiglie. È una critica alla sottomissione delle enormi potenzialità del progresso scientifico al dominio del capitale, che, conseguentemente, ne orienta l’utilizzo nelle forme più utili alla realizzazione di profitti privati per pochi, e non al libero sviluppo in favore della collettività. Senza pretesa di esaustività e rimandando a analisi più specifiche queste sono le principali ragioni della nostra contrarietà alle opere in questione:

   – La TAV è un’opera costosa e inutile. La tendenza storica dello scambio merci tra Francia e Italia dimostra di divergere sensibilmente rispetto ai prospetti entusiastici che erano stati formulati per giustificare il progetto. Il guadagno in termini di spostamento sarà di circa un minuto, ottenibile anche con un ammodernamento della linea già esistente. Il costo è però di miliardi di euro che ben potrebbero essere spesi per un ammodernamento complessivo della rete ferroviaria italiana – quello sì che diminuirebbe sensibilmente traffico su strada e inquinamento – comprese le reti regionali, prese quotidianamente dai lavoratori. Il fatto che sia finanziato in parte con soldi europei non muta la questione: i fondi europei sono frutto della fiscalità generale, sono soldi dei lavoratori italiani e degli altri paesi della UE. Non si tratta di nessun regalo quindi fatto al popolo italiano, semmai di un regalo fatto con i nostri soldi alle imprese che parteciperanno;

   – Il gasdotto TAP è parte integrante del progetto imperialistico USA sul gas, e della guerra commerciale in atto con la Russia che ha come obiettivo la spartizione del mercato energetico europeo. Non si tratta dunque di una banale opera di approvvigionamento energetico dell’Italia, ma di una precisa strategia voluta dalla Nato;

    -  il MUOS ricopre una importanza strategica per l’imperialismo statunitense, con cui è colluso l’imperialismo italiano vincolati dall’alleanza militare della NATO, trasformando la Sicilia, con diverse basi e infrastrutture militari USA/NATO, in una piattaforma strategica per le guerre e interventi imperialisti in Africa e Medio Oriente per la ripartizione e l’ampliamento di sfere d’influenza e equilibri geopolitici, nel quadro di sempre più accese tensioni e dispute interimperialiste per il controllo delle risorse naturali, gasdotti energetici, vie di comunicazione, quote di mercato, nell’esclusivo interesse e per i profitti dei monopoli capitalistici e dei gruppi finanziari.

    – Trivellazioni in adriatico. L’Italia produce appena il 9% del suo fabbisogno di gas e petrolio. In Italia il petrolio non è di alta qualità ed è difficile da raggiungere perché i nostri giacimenti sono molto profondi. Per questa ragione le royalties pagate dalle società sono le più basse del mondo, con la conseguenza che il guadagno finisce pressoché tutto in mani private e non certo a beneficio della collettività. Le società pagano appena il 10% su petrolio e gas, mentre in mare dal 2012 ci sono due diverse aliquote: 10% per il gas e 7% sul petrolio. Il tutto sottoposto a franchigia: nessun pagamento se si producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. Praticamente un regalo. Sulla collettività invece si scaricano i costi delle trivellazioni, con inquinamento marino e delle coste.

l ricatto occupazionale delle imprese e la difesa del lavoro della classe operaia.

Si dice che le grandi opere portano lavoro; che in un momento di crisi dell’edilizia la garanzia dei livelli occupazionali può essere mantenuta solo attraverso queste opere. Si pubblicano studi che parlano di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro con la TAV e con le grandi opere, sia nell’immediato che per l’impatto successivo sull’economia. Si tratta di teorie false, frutto di menzogne e manipolazioni finalizzate alla protezione degli interessi dei capitalisti, purtroppo fatte proprie anche da settori maggioritari dei sindacati confederali che le promuovono tra i lavoratori.

Basta vedere i precedenti delle olimpiadi di Torino, dei mondiali di nuoto a Roma, persino dell’Expo di Milano: grandi esborsi per strutture senza alcun impatto successivo in termini occupazionali o con impatto minimo, assolutamente ingiustificato a fronte di montagne di debiti di soldi pubblici finiti nella speculazione privata.

Maggiori e più stabili ricadute favorevoli all’occupazione si avrebbero investendo le medesime somme in opere utili al Paese, come la riconversione edilizia, la creazione di nuove scuole e ospedali, l’ammodernamento delle tratte ferroviarie e stradali del Paese e così via. Tutte queste opere richiedono assunzioni e lavoratori, ma garantiscono margini di profitto inferiori delle grandi concentrazioni speculative. Per questo le grandi società edili e finanziarie non le vogliono. Per questo, al contrario, i lavoratori dovrebbero rivendicarle, dal momento che il miglioramento delle condizioni complessive di vita (salute, istruzione, casa…) interessa proprio i lavoratori salariati e le classi popolari. Si tratterebbe inoltre di posti di lavoro che possono essere mantenuti nel lungo periodo, di occupazione stabile e non di posti vincolati a singole iniziative.

La classe operaia non può piegarsi alle parole d’ordine della Confindustria e degli edili, che utilizzano il ricatto occupazionale come strumento di pressione per la difesa dei loro profitti e non certo per favorire i lavoratori. La classe operaia ha un ruolo storico: abbattere questo modello di sistema e edificare una società dei lavoratori per i lavoratori. La lotta concreta e immediata per la difesa dei posti di lavoro non può marciare separatamente da una visione complessiva dei processi sociali. I lavoratori non possono e non devono essere indifferenti al tipo di sviluppo che viene loro proposto, non devono subirne passivamente gli assunti.

La forza organizzata e la consapevolezza della classe operaia sono l’unico elemento che potrà effettivamente rovesciare questa situazione: innalzare il livello delle lotte e delle loro parole d’ordine significa combattere insieme tanto lo sfruttamento e il ricatto occupazionale, assicurando lavoro e difesa dei salari, tanto rafforzare la lotta complessiva per l rovesciamento di rapporti sociali insostenibili oggi anche alla luce del loro impatto sull’ambiente, sulla salute dell’uomo, sul futuro delle nuove generazioni.

 Il tradimento del Movimento Cinque Stelle e la lotta dei comunisti. 

Il Movimento Cinque Stelle ha dimostrato tutto il suo opportunismo politico. Negli anni si è fatto portavoce dei movimenti di lotta, fino a spingersi a chiedere il “voto utile” contro la frammentazione del voto per portare i cinque stelle al Governo e far bloccare le grandi opere inutili. Al Governo ha ceduto sistematicamente alle pressioni dei settori capitalistici, nazionali e internazionali, spalleggiati apertamente dalla Lega (come pure dal centrodestra e dal PD) approvando tutte le opere di cui aveva assicurato lo stop.

I 5 Stelle hanno dato il via libera al TAP subito dopo il colloquio tra Conte e Trump alla Casa Bianca, hanno autorizzato nuove concessioni e esplorazioni nell’Adriatico; non hanno bloccato il MUOS. Sulla TAV si nascondono dietro un cavillo lessicale in attesa delle prossime elezioni, consapevoli di aver già ceduto. Sull’ILVA di Taranto hanno approvato lo stesso piano promosso dal ministro PD Calenda, accettando la svendita dell’ILVA a una società multinazionale, promuovendo un piano che è assolutamente negativo sia sul piano dell’impatto occupazionale (1/5 dei lavoratori in cassa integrazione) e sul lato ambientale con assicurazione dell’immunità penale e revisione al ribasso dei progetti di riqualificazione, con obblighi pressoché inesistenti per la nuova proprietà.

 

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