IL CAPITALISMO E’ RESPONSABILE DELLA TRAGEDIA DELL’IMMIGRAZIONE.

Due giorni fa un ultimo drammatico sbarco di immigrati a Lampedusa, ha per l’ennesima volta mostrato al mondo il dramma della condizione di migliaia di persone, costrette a fuggire dalla propria terra, rincorrendo la speranza di un futuro diverso.  Di fronte alla morte di centinaia di donne, bambini, ragazzi morti annegati per sfuggire all’incendio del barcone che li trasportava, nessuno ha potuto far finta di non vedere. Gli sbarchi sulle coste italiane (e non solo) sono in forte aumento in questi mesi, così come sono in aumento gli arrivi di immigrati da terra. Non ci associamo tuttavia al finto paternalismo della politica italiana, che si trincera in un colpevole silenzio di rispetto, che in realtà cela la volontà di distrarre dalla situazione economica e politica del nostro Paese. Non crediamo che in momenti come questi ci sia bisogno di tacere, ma anzi, proprio per rispetto nei confronti di chi è morto, sia necessario dire le cose come stanno, dare nomi e cognomi ai colpevoli, evitare il finto buonismo e il tentativo di chiuderci nella spirale della guerra tra poveri.

La responsabilità dell’immigrazione non è di chi fugge, ma di chi costringe a fuggire. È la responsabilità di chi scatena la guerra, spesso facendo assumere la veste di guerra civile, in nome del possesso di risorse minerarie ed energetiche, del controllo di luoghi ritenuti strategici per gli interessi economici dei grandi monopoli, di chi trasforma beni di prima necessità, come il grano, in oggetto di speculazione finanziaria. La colpa è di chi arma gruppi terroristici, truppe mercenarie, che lungi dal difendere gli interessi dei loro popoli o combattere per la libertà, come i media vorrebbero far credere, costituiscono il braccio armato dei grandi monopoli e dei paesi imperialisti, facendo il lavoro sporco per conto del grande capitale. La storia ed il presente dell’Africa sono costellati di questi avvenimenti, così come recentemente è accaduto anche in Libia e sta accadendo in Siria, paesi che non conoscevano emigrazione, e che oggi vedono la loro popolazione fuggire dalla guerra. Ma questo non è ancora abbastanza.

Il grande capitale, che provoca l’immigrazione, trova giovamento dall’ingresso di nuove masse sfruttabili, che costituiscono un moderno “esercito industriale di riserva” da mettere in competizione con i lavoratori, in una spirale che mira all’abbassamento dei salari e alla diminuzione dei diritti dei lavoratori. Ne traggono giovamento, a dispetto delle affermazioni politiche dei loro partiti di riferimento, tanto il grande capitale industriale del nord ovest, la media borghesia imprenditoriale del nord est, quanto la grande proprietà fondiaria del sud Italia, che trova manodopera a costi bassissimi per la raccolta stagionale di prodotti agricoli. Ma di questo non si può dare colpa a chi fugge, la colpa va data ancora una volta a chi costringe a fuggire, e poi sfrutta a suo vantaggio il dramma della condizione di milioni di persone.

Dare un nome ed un cognome ai colpevoli è doveroso, altrimenti, mai come su questo tema, si rischia di cadere nella trappola della lotta tra poveri, dello spostamento orizzontale del conflitto, dalla lotta di classe, al fumo negli occhi della lotta tra lavoratori ed immigrati. Dando nomi e cognomi ai responsabili ci rendiamo immediatamente conto che ogni idea di regolamentazione dei flussi migratori, di respingimento, di soluzione di stampo legalitario non avrebbe alcun risultato se non si colpisce a fondo il sistema che genera la condizione drammatica che costringe milioni di persone a lasciare la propria terra.

Il lavoro dei comunisti, lontano dai vuoti sentimentalismi della sinistra borghese, deve indirizzarsi verso l’obiettivo dell’unità nella lotta. Lavoratori italiani, disoccupati, nuove masse lavoratrici immigrate devono unirsi nelle rivendicazioni comuni, fare fronte unico contro il grande capitale. Allo stesso modo la parola d’ordine della lotta all’imperialismo deve essere assunta anche e soprattutto dalle masse lavoratrici. Dobbiamo sforzarci di non limitare la nostra azione a livello di influenza ma farla diventare pratica quotidiana nelle rivendicazioni. Depredare le risorse di un paese, costringerlo alla guerra civile, non giova alle masse lavoratrici dei paesi imperialistici, giova agli interessi dei capitalisti. I lavoratori hanno da perderci due volte.

L’immigrazione si combatte lottando contro l’imperialismo, lottando contro il potere dei monopoli finanziari ed industriali. Nel mondo della globalizzazione capitalistica queste lotte non possono che marciare insieme. Gli interessi dei lavoratori saranno realizzati quando finirà il potere dei monopoli, quando nessuno sarà costretto ad emigrare dalla sua terra perché ridotta ad un cumulo di macerie dall’imperialismo, quando i popoli conquisteranno la libertà ed il diritto ad una piena autodeterminazione, al controllo delle proprie risorse, quando finirà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E’ per questo futuro che vale la pena di lottare.

Posizione del CC del FGC.

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