No ad abusi e repressione! La militarizzazione delle città non combatte il contagio, ma prepara la repressione del conflitto sociale.

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In questi giorni si stanno moltiplicando le segnalazioni di abusi compiuti nel corso dei sempre più imponenti controlli di polizia nel Paese in quarantena. A fronte di un numero estremamente basso di sanzioni emesse, rispetto alle oltre 250.000 persone fermate per controlli ogni giorno, sono sempre più i lavoratori sanzionati durante spostamenti legati all’attività lavorativa. Uno zelo nei controlli che ritarda persino gli spostamenti di medici ed infermieri, fino ad arrivare ai casi più eclatanti di questi giorni.

 A Catania, due giorni fa, per il fermo in strada di un uomo senza biglietto dei mezzi pubblici, sono intervenute cinque volanti della polizia e una camionetta dell’esercito, con un utilizzo del tutto sproporzionato dei manganelli e delle minacce di ricorso al taser, come testimoniato da diversi video pubblicati sui social network. Ieri a Torino nel quartiere Aurora, l’impiego di un numero ancora superiore di mezzi della polizia e dell’esercito per l’arresto di un singolo presunto rapinatore ha causato una reazione di sdegno degli abitanti del quartiere popolare. La situazione è stata acuita dal fermo di quattro ragazzi che protestavano a distanza contro l’entità dello spiegamento delle forze dell’ordine e le modalità dell’arresto, a seguito della quale diverse decine di persone sono scese in strada, contestando la presenza di un tale numero di poliziotti e militari e chiedendo il rilascio dei quattro fermati.

 Questi fatti si stanno moltiplicando nel paese, testimoniando un impiego delle forze dell’ordine che va ben oltre le misure precauzionali contro eventuali assembramenti in strada. Ciò accade in un contesto in cui, a più di un mese dall’inizio delle misure di contenimento, sono ancora del tutto inesistenti provvedimenti del governo a sostegno dei lavoratori e di tutte quelle persone che, a causa dell’epidemia, sono rimaste senza lavoro e senza nessun introito. I buoni spesa rilasciati finora sono del tutto insufficienti, mentre non esiste alcun blocco degli affitti e delle utenze. Non è stato ancora erogato un euro ai lavoratori in cassa integrazione e non si ha idea di quando accadrà, mentre invece vengono attivati tutti i canali per l’emissione di credito bancario alle imprese, con copertura statale, a partire da oggi. L’unica risposta visibile per ampi settori delle classi popolari continua ad essere una presenza sempre più consistente delle forze dell’ordine e l’aumento dei controlli e dei meccanismi di repressione.

 Il sempre maggiore dispiegamento di forze dell’ordine nelle città italiane è strettamente legato con la retorica delle responsabilità individuali nel contenimento dell’epidemia. Sia chiaro, abbiamo detto fin dall’inizio che le misure di contenimento sono al momento necessarie per contrastare la diffusione del Covid-19. Abbiamo anche ribadito, però, che non avremmo chiuso gli occhi e non ci saremmo tappati la bocca di fronte alla mancanza di misure di sostengo per le classi popolari; che non avremmo rinunciato a condannare le condizioni in cui è stata ridotta la sanità pubblica da decenni di politiche antipopolari, che avremmo vigilato affinché la sospensione temporanea di alcuni diritti non andasse in una direzione diversa da quella delle strette necessità dal punto di vista sanitario. Il discorso della responsabilità individuale dei cittadini, però, va in direzione totalmente opposta a quello delle necessità sanitarie. È una retorica che va contro le evidenze scientifiche, che spiegano come il contagio venga veicolato ad ampia scala principalmente attraverso la frequentazione di luoghi affollati, come sono i posti di lavoro. Mentre si inscenano su tutti i TG nazionali cacce ai runner con droni, scene di elicotteri impiegati per impedire pranzi sulle terrazze condominiali, i dati Istat hanno testimoniato che per tutto il mese di marzo sono andati “regolarmente” a lavoro oltre il 55% dei lavoratori, ben oltre il numero degli impiegati nei settori “essenziali”.

 Nonostante ciò, la retorica della responsabilità individuale viene alimentata attraverso i massicci controlli di polizia. Viene fomentata l’idea che la responsabilità del perdurare della frustrante situazione di quarantena sia dovuta ad un pugno di trasgressori, mentre Confindustria intensifica le pressioni per maggiori riaperture, dopo aver già ottenuto un numero enorme di deroghe in totale contraddizione con le necessità sanitarie. Gli interessi dei capitalisti italiani sono il maggiore ostacolo nel fronteggiare l’epidemia del Covid-19, non certo un esiguo numero di persone che hanno trasgredito individualmente, in maniera inopportuna, le norme di contenimento. Non possiamo rimanere in silenzio di fronte all’aumento degli episodi di repressione ingiustificata che accompagnano questa situazione.

 A questo si aggiunge una narrazione che vorrebbe stigmatizzare ogni forma di protesta come il prodotto di presunte infiltrazioni di “anarchici” e criminalità organizzata. Questa narrazione oggi viene costantemente riproposta in occasione di episodi di indignazione o reazione popolare, che avvengono in contesti di sempre maggiori difficoltà in cui sempre più lavoratori e disoccupati hanno difficoltà a far fronte alle spese quotidiane, a pagare affitti e bollette. Ad adottarla apertamente è lo stesso Ministro dell’Interno Lamorgese, che in una circolare ai prefetti inviata il 10 aprile – avente come oggetto il “monitoraggio del disagio sociale ed economico e attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminosi e di ogni forma di illegalità” - invita ad evitare “il manifestarsi di focolai di espressione estremistica” e il rischio che vi si annidino “perniciose opportunità per le organizzazioni criminali”. I tentativi della criminalità organizzata di approfitta della situazione di crisi vanno sicuramente combattuti con ogni mezzo, ma questo lessico veicola un messaggio – amplificato al massimo livello – di condanna di ogni forma di espressione di frustrazione e disagio a livello popolare, in quanto terreno per “anarchici” e mafiosi”. Messaggio che si trasformerà facilmente nella stigmatizzazione di qualsiasi mobilitazione organizzata da parte della classe operaia e dei settori popolari.

 Condanniamo con forza la volontà evidente di criminalizzare a monte l’esasperazione dovuta alle condizioni di difficoltà che stanno attraversando milioni di lavoratori e larga parte delle classi popolari in questo momento. Condanniamo con forza gli abusi che sono stati testimoniati in questi giorni. Questi fatti testimoniano quanto sia concreto e attuale il rischio un ulteriore inasprimento delle misure repressive come risposta alle lotte dei lavoratori di fronte alla nuova crisi che affronteremo – le stime parlano della riduzione del 9% del PIL italiano a fronte di una riduzione del 2% durante la crisi del 2009 – e quanto la borghesia italiana possa essere tentata dall’assumere questo indirizzo per gestire la nuova fase, in linea con i “decreti sicurezza” che il governo PD-M5S-LEU si è ben guardato dal toccare.

 I doveri dei comunisti in questa fase diventano maggiori ed impellenti.

 Nell’immediato: denunciare gli abusi e la repressione ingiustificata e sproporzionata, combattere la retorica securitaria svelandone l’infondatezza scientifica rispetto alla necessità prioritaria di contenere i contagi, denunciare con la massima chiarezza le responsabilità dei padroni che nel pieno di una crisi sanitaria antepongono i loro interessi a quelli della collettività, e le responsabilità di un Governo che oggi appiattisce completamente la sua azione sulla tutela di quegli interessi.

Dal momento in cui si potrà di nuovo scendere in piazza: essere pronti a mobilitarsi, e lavorare per essere davvero, e non solo nei proclami, una forza di riferimento e d’avanguardia per le lotte dei lavoratori e delle classi popolari.

Segreteria Nazionale FGC

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