DISOCCUPAZIONE GIOVANILE E LAVORO. LE PROPOSTE DEI COMUNISTI.

La disoccupazione giovanile ha toccato in Italia quota 42% nel 2013 con una perdita secca di 100.000 posti di lavoro. Tra i 18 e i 29 anni le statistiche registrano nel 2013 un numero superiore a 1 milione di disoccupati. Ma il quadro della condizione giovanile in riferimento al lavoro deve considerare innanzitutto il numero dei giovani che non studiano e non lavorano, che nel nostro paese, considerando la fascia 15-34 anni, hanno la raggiunto la cifra di 3,7 milioni, ossia il 36,4% del totale secondo le stime del novembre 2013. (per un approfondimento sulla questione disoccupazione in Europa consigliamo la lettura della nostra relazione sul tema della disoccupazione giovanile al “Festival mondiale della gioventù” http://www.senzatregua.it/?p=769). Nonostante le rassicurazioni generali del governo, appare evidente come in questo momento storico la disoccupazione sia destinata ulteriormente a salire, sia a livello generale che giovanile, come dimostrano analoghi casi di Grecia, Spagna e Portogallo. Il capitalismo non è in grado di assicurare un futuro alla gioventù delle classi lavoratrici, promettendo solo disoccupazione, sfruttamento, precarietà.

Assistiamo ad una chiara tendenza del capitale all’aumento temporaneo dei margini di profitto, nella ricerca disperata di momentanee boccate di ossigeno, destinate progressivamente a diminuire e sviluppare contraddizioni ancora maggiori. In quest’ottica è visibile una generale diminuzione dei livelli salariali, contrapposta all’aumento della produttività sul lavoro, mediante l’innalzamento degli orari, la diminuzione di pause, l’aumento degli straordinari. La presenza di accordi di libero scambio, in particolare con i vincoli europei sulla libera circolazione di merci, capitali e servizi, inserita all’interno di una Unione Europea a più velocità in termini salariali, e di diritti dei lavoratori, consente un ampio ricorso alla delocalizzazione della produzione al di fuori dell’Italia. Questo avviene sia nella direttrice degli stati UE con costo del lavoro minore (es Polonia) sia con paesi legati da accordi commerciali favorevoli con l’UE e vicini geograficamente (es Serbia), sia nel caso del capitale monopolistico multinazionale, nella direzione dei paesi cd emergenti (Cina, India, Brasile). Il fenomeno della delocalizzazione attacca la base produttiva italiana, così come le piccole imprese manifatturiere cedono sotto i colpi delle merci a basso prezzo e della tendenza all’accentramento in monopoli, cosa che avviene in tutti i settori ed in modo particolare in quelli legati alla tradizione artigianale, come tessile ed agroalimentare. Il capitale monopolistico ne esce rafforzato a danno della massa dei lavoratori e della piccola impresa.

Contemporaneamente la pressione del debito pubblico, la costante necessità di pagamento degli interessi sul debito (senza riuscire a scalfirne la quota complessiva), viene tradotta dalle forze politiche di maggioranza in riduzione sistematica della spesa pubblica, riduzione della forza lavoro occupata nel settore pubblico, aumento della tassazione sul lavoro, a cui non corrisponde un’effettiva controprestazione di servizi. Tutto questo si traduce in una ulteriore diminuzione dei posti di lavoro, con blocchi delle assunzioni nel settore pubblico, privatizzazioni e contestuale riduzione di occupati nell’ambito dei servizi pubblici territoriali e non. L’aumento dell’età pensionabile, oggi in Italia la più elevata d’Europa a seguito della riforma del precedente governo, con un salto in pochi mesi di diversi anni, ha ulteriormente contribuito a diminuire le prospettive di lavoro dei giovani, alterando il naturale ricambio generazionale nel lavoro, con il paradosso di essere presentata come riforma a favore dei giovani.Data la condizione non riteniamo che le proposte presentate dalle forze politiche di maggioranza siano in grado di risolvere il problema. Ci riferiamo al “Jobs Act” di Renzi, sul quale riserveremo maggiore approfondimento in questi giorni. Da subito riteniamo che il fattore positivo della riduzione delle categorie contrattuali non possa essere realizzato al costo della estensione della precarietà e della cancellazione di fatto delle tutele previste dall’art 18 in relazione ai contratti di formazione.

La gioventù comunista lotterà per diffondere tra i giovani lavoratori e i disoccupati le seguenti proposte immediate per combattere la disoccupazione giovanile, la precarietà sul lavoro, la tendenza alla diminuzione di salari e diritti dei lavoratori:

-        Lavorare meno, lavorare tutti. Riduzione dell’orario di lavoro a parità salariale, scala mobile. Da non confondere con la questione dei cd contratti di solidarietà, che prevedono la riduzione salariale in capo ai lavoratori, e che sono in definitiva strumenti di ricatto volti ad abbassare i livelli salariali ed aumentare i profitti per gli imprenditori. La proposta va posta nell’abbassamento immediato delle ore di lavoro settimanali a parità salariale come tappa immediata, insieme al divieto di ricorso agli straordinari, che diventano una delle modalità per diminuire sistematicamente il numero di lavoratori. Al contempo i salari devono essere adeguati al livello corrente d’inflazione con la predisposizione di un meccanismo di adeguamento periodico: cd “scala mobile”. La parola d’ordine del “lavorare meno, lavorare tutti” consente di legare insieme le rivendicazioni immediate dei lavoratori e dei disoccupati, evitando così lotte al ribasso;

- Salario minimo garantito a natura intercategoriale, difesa del contratto collettivo nazionale e riduzione delle categorie contrattuali. Insieme di proposte che mirano a stabilire una maggiore unità di classe, lì dove in questi anni si è proceduto all’estremo opposto. La questione del salario minimo garantito deve essere posta in ottica intercategoriale, come argine alla tendenza di riduzione salariale dovuta alla competizione tra forme di lavoro. Il salario minimo orario spezza questa tendenza alla competizione tra lavoratori. Stesso discorso vale per la contrattazione collettiva nazionale, mentre oggi la tendenza è consentire al capitale di trattare azienda per azienda, lavoratore per lavoratore. Questa tendenza come è evidente tende a ridurre ulteriormente i margini di rivendicazione comune della classe lavoratrice, aumentando l’isolamento dei lavoratori e la forza del capitale. Accanto ad essa è indispensabile ridurre le forme contrattuali oggi presenti a seguito delle numerose riforme in tema di lavoro;

- Abolizione delle forme di contratto precarie, regolamentazione delle forme di apprendistato. Abolizione totale dell’insieme delle leggi Treu, Biagi e Fornero, che disegnano oggi il quadro della precarietà in Italia. Estensione generale delle forme contrattuali a tempo indeterminato, con l’eccezione di un contratto di apprendistato, regolamentato, con uguali diritti e livelli salariali rispetto al corrispondente contratto di categoria, e con limiti temporali fissati dalla legge. L’apprendistato deve essere portato alla sua funzione formativa e non costituire una forma di sottocontratto, utilizzato dal capitale per creare competizione al ribasso tra i lavoratori. Da rigettare in questo senso sono quelle forme di raccordo scuola-lavoro, che mascherano in realtà vere e proprie forme di lavoro stagionale non retribuito. Netta contrarietà alla proposta del “jobs act” di Renzi sulla questione apprendistato, proprio per questo motivo;

- No alle delocalizzazioni, controllo diretto dei lavoratori. La questione della delocalizzazione della produzione sta divenendo tendenza generale con gravi conseguenze sul piano dell’occupazione. Esproprio delle aziende che delocalizzano la produzione, in applicazione delle previsioni degli articoli 42 e 43 della Costituzione, e affidamento ai lavoratori. Rilanciare la parola d’ordine del controllo operaio della produzione, e della gestione diretta dei lavoratori di ogni azienda. Anche qui tale proposta non va confusa con la partecipazione dei lavoratori alla ripartizione di quote azionarie nell’ambito della società capitalistica, che nei fatti si riduce a un modo aggiuntivo di ripartire le eventuali perdite sui lavoratori. Noi rivendichiamo il diritto di chi lavora a gestire direttamente la sua azienda, a rivendicare la retribuzione di tutto il valore prodotto con il proprio lavoro;

- Abbassamento dell’età pensionabile. L’aumento dell’età pensionabile altera il naturale ricambio generazionale, e costituisce una forma di doppio sfruttamento per i lavoratori e per i disoccupati che crea. L’abbassamento dell’età pensionabile è un provvedimento indispensabile per lottare contro la disoccupazione giovanile;
- Ripudio del debito pubblico, rottura dei patti di stabilità, assunzioni nei servizi pubblici. Il blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni da anni contribuisce a aumentare la disoccupazione giovanile e a diminuire i servizi pubblici essenziali a livello nazionale e locale. Questo in ossequio ai patti di stabilità e agli impegni di riduzione della spesa pubblica per il rientro dal debito pubblico, che non solo non è diminuito, ma è costantemente aumentato a causa del peso insostenibile degli interessi. Il ripudio unilaterale del debito pubblico è condizione essenziale per la riduzione della disoccupazione giovanile e per la creazione di un sistema di servizi pubblici che assicurino diritti di primo rilievo come l’istruzione e la sanità;

- Sosteniamo la battaglia per l’estensione dei sussidi di disoccupazione, come misura temporanea necessaria, ma non risolutiva dell’attuale condizione. È necessaria una risposta immediata allo stato di disagio economico presente nel nostro paese, ma tale condizione non può essere migliorata a lungo periodo con interventi di tipo assistenziale. Bisogna esserne consapevoli ed estenderne tale consapevolezza ai lavoratori e ai disoccupati, lottando ma per l’estensione dei sussidi di disoccupazione nell’immediato, ma facendo avanzare le rivendicazioni complessive;

- Parità salariale e riconoscimento dei diritti della donna lavoratrice. I comunisti rivendicano una reale e totale parità di diritti della donne lavoratrici. In primo luogo i salari delle donne devono essere in ogni situazione equiparati a quelli maschili, deve essere eliminata ogni forma di discriminazione reale esistente. La maternità deve essere un diritto accordato a tutte le donne, mantenendo la stessa retribuzione per il periodo necessario di assenza dal lavoro. Sostenere la maternità vuol innanzitutto dire permettere alla donna-madre di poter svolgere la propria attività lavorativa, la propria professione al meglio senza dover per forza scegliere tra questa e l’essere madre, senza dover sacrificare né l’uno né l’altro aspetto, nel totale rispetto e sostegno della genitorialità salvaguardando tutti i diritti lavorativi allargando i diritti lavorativi legati alla maternità previsti per i contratti a tempo indeterminato anche a tutte le altre forme contrattuali a tempo determinato o di collaborazione. Abbiamo bisogno di un sistema di sostegno pubblico che sia solido, che abbia come obiettivo primo di creare strutture pubbliche, gratuite e di qualità che si affianchino al sistema familiare sostenendolo e supportandolo, di essere un aiuto concreto e valido particolarmente per i genitori single, per le ragazze-madri o per genitori divorziati.

Su questi punti crediamo sia possibile costruire una lotta di massa, unitaria dei lavoratori, a partire dal contributo delle nuove generazioni, che più di tutte subiscono gli effetti della crisi. Questi punti compongono insieme un quadro generale delle rivendicazioni necessarie per invertire la rotta. Accanto alle rivendicazioni immediate il ruolo dei comunisti è legare queste proposte con la lotta politica generale, con la consapevolezza che solo il rovesciamento del dominio dei monopoli e del sistema politico che lo rappresenta, potrà condurre a conquiste reali, stabili e durature. Non è possibile ottenere questi risultati senza mettere in discussione l’Unione Europea, l’euro, la proprietà dei mezzi di produzione. Un programma minimo deve sempre essere accompagnato da questa convinzione.

Allo stesso tempo è necessario condurre una lotta contro l’arretratezza delle parole d’ordine sindacali e del movimento di classe oggi in Italia. Innanzitutto denunciare l’attuale corso dei sindacati concertativi CGIL, CISL, UIL, che si sono ridotti a esecutori degli interessi padronali, garantendo controllo sociale sulle masse lavoratrici. La CGIL in particolare, per la sua storia e per il ruolo che esercita ancora sui lavoratori ha enormi responsabilità in questa situazione, e pensare di modificare la CGIL è assolutamente una strategia perdente. La costruzione del sindacato di classe in Italia deve in questo senso guardare principalmente alle esperienze del sindacalismo di base, USB, Cobas, Slai Cobas, Si Cobas, tendendo la mano alle parti conflittuali in seno alla CGIL. Sul lato sindacale è indispensabile lavorare ad un superamento della condizione di arretratezza attuale, considerando la frammentazione, puntando ad unire in un fronte unico dei lavoratori le forze sindacali, gruppi e singoli lavoratori interessati alla diffusione di un programma di classe. A questo processo possono e devono contribuire anche i giovani, spesso lontani e delusi da un sindacato concertativo e filo-padronale, o sotto costante minaccia di ripercussioni e noi saremo in prima fila.
Come è necessario combattere alcune parole d’ordine arretrate presenti anche nei sindacati conflittuali e in ambito di movimento, come la questione del “reddito di cittadinanza”, una proposta errata perché non mette in discussione i rapporti di produzione e la divisione tra capitale e lavoro salariato, finisce per far ricadere sulla fiscalità generale il costo del reddito, pagato così dai lavoratori. Una proposta che parte da una visione errata, mentre in Italia, paese ricco di posti di lavoro, sarebbe possibile lavorare meno e tutti garantendo piena occupazione.

Il Fronte della Gioventù Comunista in questi mesi è impegnato nella costruzione e nel radicamento delle cellule di lavoro all’interno delle fabbriche e di tutti i luoghi di lavoro, creando allo stesso tempo una campagna sulla disoccupazione giovanile che coinvolga i giovani delle classi popolari, anche al di fuori dei posti di lavoro, nelle scuole e nelle università. Pone la battaglia sul lavoro e contro la disoccupazione giovanile come terreno di lotta principale dell’organizzazione ad ogni livello,da sviluppare insieme alla lotta contro questo modello di sistema.

 

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