LA “BUONA SCUOLA” PER CONFINDUSTRIA. ANALISI DEL DDL SULLA SCUOLA.

Come era prevedibile, il ddl presentato in Consiglio dei Ministri lo scorso 12 marzo non inverte minimamente la rotta rispetto al progetto della “Buona Scuola” pubblicato dal governo lo scorso autunno. Quella delineata nel disegno di legge è una vera e propria scuola-azienda che scavalca persino i progetti dell’ultimo governo Berlusconi. L’autonomia scolastica diventa sinonimo di gestione manageriale da parte del Dirigente Scolastico, che avrà non solo il compito di cercare finanziamenti da parte di privati, ma addirittura quello di scegliere gli insegnanti. Viene introdotta una pianificazione triennale, da affiancare al POF (definito annualmente), nella quale si individuerà l’organico, da scegliere fra i nomi inseriti in appositi albi, nei quali rientreranno tutti gli assunti a partire dal prossimo autunno. Un capitolo a parte, quello delle assunzioni, che dietro l’esaurimento delle GAE (graduatorie ad esaurimento) mascherano l’abbandono di migliaia di precari “colpevoli”, certo non per propria colpa, di aver lavorato poco. Rimandata per adesso la proposta di inserire gli scatti degli stipendio in base al merito: restano gli scatti d’anzianità, a cui si affianca un fondo di 200 milioni per un bonus agli stipendi dei docenti più meritevoli, che sarà assegnato a discrezione del Dirigente al 5% degli insegnanti della scuola. Il trionfo del clientelismo, se si pensa che manca ancora una definizione dei criteri con cui il Dirigente sceglierà gli insegnanti da “assumere”. In compenso, cresce il fondo nazionale per la retribuzione dei Dirigenti Scolastici, anche qui secondo una logica di premialità per quei Dirigenti che più sapranno distinguersi per la propria attività manageriale.

Questa idea del Dirigente che sceglie i docenti più adatti ai suoi progetti e agli insegnamenti che intende offrire avalla la proposta del “curriculum studentesco” (citato in alcuni passaggi del ddl) e svuota di significato il valore legale del titolo di studio, che sebbene non sia esplicitamente abolito si riduce ormai a mera formalità. Dal momento che ogni scuola offrirà insegnamenti diversi, più o meno qualificati o specifici in base alle proprie disponibilità materiali ed economiche, è chiaro che non avrà più senso parlare di uguaglianza formale di tutti i diplomi conseguiti per lo stesso indirizzo di studio. È necessario chiarire che va assolutamente rigettata l’idea per cui difendere il valore legale del titolo di studio e opporsi al curriculum studentesco significa battersi per un livellamento al ribasso dell’istruzione, voler “tappare le ali” alle scuole d’eccellenza. Al contrario chiediamo che l’istruzione di qualità sia offerta da tutti gli istituti, e non solo da poche scuole “di serie A” che avranno le risorse per farlo, con un livellamento al ribasso, stavolta per davvero, fra le altre scuole.

Il cuore della “buona scuola” di Renzi resta quello dei finanziamenti da parte di privati e dei rapporti fra scuole e imprese, specie sul tema dell’alternanza scuola-lavoro. L’idea che le imprese private possano influire sulla didattica e sul funzionamento delle scuole che dipendono dai loro finanziamenti sembra non spaventare minimamente il Governo, che al contrario la accoglie con entusiasmo. All’art 2, comma 9 del ddl, riguardo il già citato Piano triennale (compenetrante col POF per quanto riguarda l’organizzazione dell’offerta formativa), si legge: “il Piano triennale è elaborato dal dirigente scolastico, sentito il collegio dei docenti e il consiglio di istituto, nonché i principali attori economici, sociali e culturali del territorio”. Con l’articolo 16 del ddl si introduce poi un credito di imposta (cioè uno sgravo fiscale) per le “erogazioni liberali” da parte di privati. Il termine “erogazione liberale” fu usato già nella legge 40/07 (legge Bersani) e tutt’ora è soggetto a interpretazioni differenti. Teoricamente rientrerebbero in questa definizione anche i contributi scolastici che le scuole chiedono alle famiglie, ma su questo tema, complice l’ambiguità delle posizioni (non) assunte dal governo, c’è sempre stata confusione, che con questo ddl non svanisce affatto. L’intera impostazione dell’art 16 tende a suggerire che queste “erogazioni liberali” siano una sorta di donazione da parte di benefattori, cioè tutt’altro rispetto ai contributi che le famiglie sono costrette a pagare ogni anno per mandare i figli a scuola, un fatto ormai divenuto assolutamente ordinario e che meriterebbe una disciplina specifica. Ci troviamo di fronte alla precisa volontà da parte del Governo di non affrontare la grande vergogna dei contributi scolastici, che le famiglie da anni sono costrette a pagare per sopperire ai tagli scellerati operati sui fondi di finanziamento delle scuole statali. Pur di non affrontare seriamente la questione del finanziamento statale alla scuola pubblica, si cerca di trasformare in normalità il fatto che siano le imprese private e le famiglie degli studenti a finanziare la scuola. In questo senso si inserisce la proposta di poter devolvere il 5 per mille all’istruzione, riducendo a beneficenza una cosa seria come il finanziamento della scuola statale. Una vera e propria vergogna, se si pensa che al contempo si prevedono sgravi fiscali per chi iscrive i figli alle scuole paritarie, per ora fino alla scuola media.

La prima principale grande influenza delle imprese sulla didattica la si trova nel piano di alternanza scuola-lavoro. Gli studenti degli ultimi tre anni degli istituti professionali e dei licei dovranno svolgere rispettivamente 400 e 200 ore di alternanza scuola-lavoro, definita nel Piano triennale. Addirittura si prevede la stipulazione di contratti di apprendistato per gli studenti. Nei fatti si sostituisce l’insegnamento di competenze professionali con la formazione professionale svolta direttamente dall’azienda, e il tutto viene presentato come una misura per combattere la disoccupazione e favorire l’orientamento lavorativo degli studenti. La verità è che una formazione di questo tipo è estremamente parcellizzata poiché ridotta all’insegnamento delle sole competenze richieste dalla specifica azienda in cui avviene la formazione, privando lo studente di competenze generali capaci di garantirgli un futuro nell’attuale mondo del lavoro “flessibile”. Nel nome del Made in Italy, le scuole vengono ridotte né più né meno a corsi per i futuri dipendenti di singole imprese, che saranno ben felici di risparmiare sulla formazione professionale dei propri dipendenti, svolta dalla scuola in loro vece. Abbiamo già segnalato in passato il caso apripista dell’ENEL, che ha già stipulato accordi con diverse scuole italiane che in cambio dei finanziamenti proiettano la loro didattica verso le competenze richieste dall’ENEL e svolgono l’alternanza scuola-lavoro nell’ENEL. Le “Buone Scuole” di Renzi saranno targate FCA, ENI, Marcegaglia, ecc.

Un altro caso apripista già osservabile riguarda l’immersione linguistica o CLIL (Content and Language Integrated Learning), cioè l’apprendimento di materie ordinarie in una lingua straniera (solitamente l’inglese, ma non solo) al fine di potenziare l’apprendimento di questa lingua. Il Governo presenta l’introduzione del CLIL come una grande innovazione della didattica. In alcuni licei statali di Roma si sta già sperimentando il CLIL tramite una convenzione stipulata con istituti privati (Cambridge, British, ecc…), avendo come conseguenza, fra le altre cose, la richiesta di un contributo scolastico raddoppiato (si arriva a 300 euro) per potersi iscriversi alle classi in cui è adottata l’immersione linguistica. In accordo con l’impostazione della riforma che spalanca le porte all’ingresso dei privati nelle scuole, non ci sarebbe da stupirsi se questa modalità venisse estesa a tutti gli istituti.

Su tutte le questioni che il ddl non tratta, l’art 21 del ddl consiste in una lunga delega al Governo, in particolare sulla redazione di un nuovo Testo Unico delle leggi sulla scuola e la ridefinizione degli organi collegiali. Con ogni probabilità si andrà verso una riduzione della collegialità della scuola, in accordo con i maggiori poteri conferiti al Dirigente Scolastico: secondo comma dell’art 21 si parla apertamente di “soppressione di organi non più funzionali all’organizzazione generale del sistema scolastico”. In ultimo, 40 milioni vengono stanziati per indagini sullo stato dell’edilizia scolastica, specie sui controsoffitti. Una misura dettata più da una contingenza che da una volontà reale, che lascia l’amaro in bocca se pensiamo che servirebbero 10 miliardi per una riqualificazione seria dell’edilizia scolastica italiana, e che probabilmente non ci sarebbe stata se non si fossero verificati più di 10 crolli di controsoffitti in varie scuole italiane dall’inizio del 2015, con una certa risonanza mediatica.

In conclusione, il ddl approvato dal Governo e che ora approda in Parlamento chiude un ciclo decennale di riforme che hanno smantellato la scuola pubblica per come la conoscevamo. La scuola viene trasformata in una azienda gestita da un Dirigente Scolastico dotato di enorme discrezionalità, e dalle imprese che erogheranno i finanziamenti da cui le scuole dipenderanno, liquidando l’idea che la scuola statale debba essere finanziata dallo Stato. Una privatizzazione inaccettabile della scuola pubblica, completamente asservita alle imprese e votata a logiche di competizione e clientelismo nel suo funzionamento interno e nei rapporti fra i docenti e il Dirigente. Interventi in favore delle scuole private mentre non si spende un euro per il diritto allo studio, in un paese in cui un giovane su tre non riesce a diplomarsi anche a causa della crisi. La “buona scuola” di Renzi è la scuola di classe imposta dai padroni e dalle direttive UE. Contro questa scuola di classe saremo pronti a mobilitarci e tornare nelle piazze, per chiedere una scuola pubblica che sia gratuita e accessibile a tutti.

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