SCUOLA: BOICOTTARE I CONTRIBUTI, DIFENDERE LA SCUOLA PUBBLICA.

Anche quest’anno le famiglie italiane saranno chiamate a pagare i contributi di iscrizione alle scuole dei propri figli. Questo nonostante la Costituzione italiana affermi la gratuità della scuola dell’obbligo. Mentre il governo vara la “Buona Scuola” nella proposta di riforma non si accenna minimamente alla questione del contributo che è una delle più urgenti della scuola italiana. L’Italia è l’unico paese europeo in cui la scuola pubblica si paga due volte: con la fiscalità generale, e con una tassazione mascherata da contributo studentesco che le scuole chiedono di pagare al momento dell’iscrizione.  Da ormai diversi anni i contributi sono diventati la principale forma di finanziamento per le scuole, strette dai tagli dei governi in applicazione delle misure di riduzione della spesa pubblica stabilite dagli accordi con la UE. Come avevamo dichiarato nei primi anni dell’opposizione al contributo risulta evidente che con la sistematica crescita ed espansione del ricorso al contributo si realizzi nei fatti una trasformazione del sistema dell’istruzione pubblica, che da gratuita passa progressivamente ad essere a carico delle famiglie.

Due sono le direttrici principali di questo processo. Da una parte l’aumento della quota del contributo che si richiede agli studenti, e la trasformazione nei fatti da volontario a obbligatorio, con annesso inasprimento della condotta delle singole scuole. Dall’altra la tendenza a moltiplicare iniziative scolastiche, classi speciali, materie ed attività differenziate nell’ambito della didattica delle scuole, attraverso l’istituzione di sezioni specifiche, le cui attività chiedono alle famiglie una quota aggiuntiva e specifica di contributo oltre quella generale. L’introduzione o la reintroduzione di alcune materie ha assunto in molte scuole, in mancanza di un apposito e sufficiente piano di finanziamento statale, proprio questo carattere, incrementando ulteriormente il carico economico richiesto dalle famiglie.

Riguardo all’aumento L’OCSE ha recentemente dichiarato che i contributi scolastici in Italia sono cresciuti in dieci anni del 200%. Da una media di 40/50 euro nella seconda metà degli anni ’90, si passa agli 85 euro dei primi anni 2000, fino ai 130 euro del 2010. Nel 2014, i contributi che le scuole italiane chiedevano alle famiglie ammontavano in media a 150 euro, con scuole che arrivano a chiederne anche più di 200.

In secondo luogo sono sempre di più i casi che ci vengono segnalati di contributi aggiuntivi per specifiche materie o attività in ambito didattico. Sezioni speciali con materie aggiuntive vengono istituite e per ragioni di organico spesso diventano una scelta obbligata per studenti che non hanno altre classi disponibili. Un salto qualitativo importante perché aumenta sempre di più la funzione e l’utilizzo del contributo anche nell’ambito della didattica tradizionale, e non nell’offerta formativa ulteriore.

I contributi delle famiglie oggi sono diventati la principale fonte di finanziamento delle scuole, e di fatto sono stati il mezzo per scaricare sulle famiglie il costo dei tagli scellerati che si sono susseguiti negli anni e che hanno ridotto in ginocchio la scuola. A mascherare questa situazione contribuisce il fatto che le scuole sono tenute a riportare nel bilancio i cosiddetti “residui attivi”, cioè le ingenti somme che hanno a credito nei confronti dello Stato, che in realtà da anni non vengono versate (e non lo saranno). Far figurare i residui attivi fra le voci in entrata serve a mascherare il fatto che ormai a sostenere economicamente le scuole sono i soldi versati dalle famiglie, senza i quali i bilanci sarebbero in rosso.

La conseguenza di questa situazione è che, nonostante sia formalmente volontario (sebbene non esista una vera e propria normativa a riguardo), la maggior parte delle scuole finisce per chiederli ricorrendo a intimidazioni o a vere e proprie minacce, come l’abbassamento del voto in condotta o la preclusione ad alcune attività formative. In molte scuole d’Italia, ormai, a partire dal contributo scolastico nascono forme di vera e propria discriminazione di classe: scuole in esubero di iscrizioni che mettono alla porta gli studenti che non possono permettersi di pagare centinaia di euro, o indirizzi di studio accessibili soltanto a chi paga un contributo più alto degli altri (come l’indirizzo di cucina in molti istituti alberghieri, o molte “classi speciali” con insegnamenti in lingua inglese nelle scuole della capitale).

Allo stato attuale non esiste una legge che disciplini il contributo scolastico, e sembra non esserci intenzione di crearne una. La legge Bersani n°40 del 2007 si limita a prevedere la detraibilità delle “erogazioni liberali” versate alle scuole pubbliche e finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa, limitandosi solamente a prendere atto di una prassi già largamente diffusa nelle scuole. In aggiunta, da qualche anno il Ministero dell’Istruzione diffonde annualmente una circolare, solitamente nel mese di marzo, che “ricorda” alle scuole la natura volontaria del contributo scolastico. Recentemente il Ministro dell’Istruzione Giannini ha annunciato lo stanziamento di 50 milioni di euro aggiuntivi per le spese di funzionamento delle scuole, che dovrebbero servire a «rendere il contributo chiesto ai genitori un “contributo” a spese di qualità» e a fare in modo che «il contributo volontario non sia una vessazione per le famiglie». Nei fatti, uno stanziamento di una cifra irrisoria (che impallidisce dinanzi ai miliardi di tagli accumulati) da parte di un Governo bravissimo nella propaganda, che maschera la precisa volontà di non affrontare uno dei problemi più urgenti della scuola pubblica italiana, che continua a non essere disciplinato quasi per nulla dalla legge.

Se i Governi non affrontano di petto la questione, è perché non possono e non vogliono farlo. Il contributo scolastico è stato la leva per imporre tagli sempre maggiori all’istruzione statale, mentre i soldi venivano usati per salvare banche e grandi imprese, per le spese militari o regalati alla scuola privata. Di fatto oggi la scuola pubblica gratuita non esiste più, e anno dopo anno siamo abituati all’idea che la scuola si debba pagare. Per questa ragione, e per il fatto di aver reso possibili i tagli scellerati operati sulla scuola pubblica, il contributo scolastico è oggi la principale forma di attentato alla scuola pubblica. La protesta non va rivolta contro le singole scuole che chiedono di pagare il contributo con più prepotenza delle altre, ma contro il contributo scolastico in sé.

Pagare il contributo non significa affatto aiutare la propria scuola, ma rendersi complici del processo di smantellamento dell’istruzione statale, avendo come unica conseguenza futura quella di vedere le scuole sprofondare sempre di più e i contributi divenire sempre più cari col passare degli anni. È compito della gioventù comunista e di ogni studente che lotta per la difesa della scuola pubblica lavorare per costruire anno dopo anno una grande campagna di massa per il boicottaggio dei contributi scolastici in tutte le scuole d’Italia, rilanciare l’offensiva inchiodando il Governo alle sue responsabilità e rivendicare la piena gratuità della scuola pubblica, tramite la totale copertura dei costi del funzionamento delle scuole. Uniti saremo forti, organizzati saremo invincibili.

DIFENDI LA SCUOLA PUBBLICA, NON PAGARE IL CONTRIBUTO!

 

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